giovedì 14 aprile 2011

San Michele aveva un gallo

Nella vita può accadere, per fortuna, che emozioni e bellezze indicibili tornino.
Per Fortuna, appunto; è lei, o il Caso, che permettono a una bottiglia già arrivata in passato dal mare, chissà come, addirittura di tornare!

Mi ritrovo, discutendo di libri e di lettura con amiche, chissà come a parlare in maniera appassionata di "San  Michele aveva un gallo",  vecchissimo film dei fratelli Taviani, che su di me aveva inciso come un punteruolo arrivato fino al midollo nella corteccia d'albero.
Mi lamentavo, come ho fatto molte volte negli anni, di averlo cercato come un tesoro smarrito, e di non averlo rivisto mai, nemmeno nelle personali dei registi, neppure in video, neanche in t.v.

Un'amica pronuncia per fortuna, la tipica, molesta frase: "...e che ci vuole?" aggiungendo:   "Hai rovistato  in internet? "  e si offre di farlo lei.
Dopo due giorni ricompare, sempre grazie al web con  un' email, in cui mi comunica che lo ha trovato, copiato e che se al nostro prossimo incontro porterò una "pennetta", potrò portarlo via con me.
L'ho rivisto ieri.

Proverò adesso a dire proprio quello "che non può dirsi".

Non certo la storia, forse conosciuta: un giovane rivoluzionario, figlio di agiati e noti possidenti, è a capo di un piccolo gruppo di ribelli, in in'Italia centrale non identificata, forse la Toscana, in un periodo non definito, certo prima dell'Unità. In una delle prime azioni il gruppo  viene con facilità estrema sconfitto dai gendarmi del Re, il rivoluzionario è condannato alla fucilazione, che verrà trasformata in carcere a vita.

Il film, dopo i primi trenta minuti, è già così concluso.

Il resto del racconto è tutto dentro la cella in cui il prigioniero sarà rinchiuso e dentro la sua testa, la sua inesausta fantasia, la sua incrollabile voglia di non lasciarsi andare e di rimanere, per sempre, quello che è : un capo rivoluzionario, amato, e anche contestato, dal suo gruppo, sempre presente.

Il prigioniero perciò si impone una ferrea disciplina: deve nutrirsi bene, non ammalarsi, deve convocare riunioni e decidere strategie, anche giustificarsi per la vendita di altrui proprietà, per "la causa" .
La cella deserta è così sempre affollata: di dialoghi, di scontri, di incontri con fantasmi.

Si intuisce il  passare delle stagioni dalla palandrana che il prigioniero indossa: sempre identica, ma calata sui fianchi d'estate, stretta attorno al corpo d'inverno.

Anche la minestra opaca che gli viene data ogni giorno è identica, come i  movimenti che gliela porgono : nella porta sempre sprangata si apre un piccolo sportello in basso,  facendo passare una mano, di cui mai si vede il corpo, che poggia sulla sabbia del terreno una ciotola, e un boccale d'acqua, sempre identici.

Il prigioniero però ogni giorno, e per dieci lunghi anni, berrà vini ricercati (del Reno, d'oltremare) e mangerà  cibi sempre diversi , leccornie da famiglia ricca,  raffinati,  di cui recita con cura ad alta voce le ricette.

Trascorso un decennio, dovrà essere trasferito in un altro carcere; per raggiungerlo dovrà traversare la laguna veneta.

Incontra così, su un'altra tartana dalla rossa vela latina, altri prigionieri politici; cerca di farsi riconoscere, di parlargli; discute con loro a distanza, sulla laguna deserta, di  azioni rivoluzionarie, di contadini, di terre...

I giovani prigionieri, c'è anche una donna fra loro che più degli altri lo detesta, gli dicono che in dieci anni tutto è mutato, che la sua è stata un'azione inutile, anzi dannosa, che ha solo ritardato la presa di coscienza degli operai: il vero motore, ora, della rivolta.

Il prigioniero ammutolisce, tenta di recuperare i fantasmi che hanno vissuto con lui, ignora i giovani, non li cercherà più, si stende per riposare.
Dopo qualche secondo, con uno scatto improvviso, si annega.

Qual é la fascinazione di questo racconto? Che contenga la vita, e naturalmente il suo contrario, la morte.

Che in un luogo vuoto di tutto, come la cella, ci siano ribellione, libertà e sperdimento, coraggio, miseria e  ingenuità, generosità, paura e  ricchezza,  scaltrezza, fiducia e passione, dolore e speranza, conflitto e pace, animalità e spiritualità.

Il prodigio che si realizza ogni volta, nel rievocare cibi meravigliosi, conosciuti e perduti, è struggente nella sua realistica illusione; i sapori e i profumi invadono l'ambiente con la loro assenza.

La ripetitività ossessiva, eterna, dei giorni e dei gesti, è ricca  di emozioni, conflitti, tensioni.
La vita non è quella visibile; le strade sono infinite, i percorsi pieni di fantasia,

E poi, naturalmente, c'é la sconfitta, la morte.

Il rivoluzionario, bimbo dai riccioli biondi , cantava piano la filastrocca "San Michele aveva un gallo", quando veniva per punizione rinchiuso in uno sgabuzzino della sua splendida villa padronale;  "San Michele aveva un gallo" sarà il potente coro  che si ascolta dopo la sua morte, lamento funebre sulle acque della laguna, lei si, grigia e immobile.