sabato 27 novembre 2010

Cronache dal traffico 2

Roma, stamattina, si esce per restituire libri in una biblioteca del centro, riprendere un oggetto dimenticato in casa di un'amica, un giro al mercato....tutti luoghi neanche troppo vicini, ma tutti lambiti dalla manifestazione della Cgil.

La manifestazione era nota da tempo, si suppone autorizzata .....

Le strade romane sono le stesse dalla fondazione della città, cioè da alcune migliaia di anni....

Esiste una società comunale di trasporti ....

Eppure, si poteva provare stamane sugli autobus l'ineffabile e rara, credo unica, sensazione di vivere su Marte, o in un mondo parallelo, oppure oltre lo specchio di Alice nel Paese delle Meraviglie.....a cui mancava però ogni grazia e armonia.

In tutto il centro (Piazza Venezia, Fori Imperiali, via Labicana, San Giovanni, via Nazionale...) i bus circolano, ma il loro numero non corrisponde ad alcun itinerario definito....
Si sale e si chiede al conducente quali variazioni sono previste, e la risposta è : "Non lo so"; se può fermare per far scendere e la risposta è : "Non lo so se c'è una fermata"; dove pensa di andare e la risposta è : "Non lo so"; solo alla domanda: "C'è qualcuno che lo sa"? risponde: "Qualcuno lo saprà!" (???) e viene scongiurato dai passeggeri di chiedere a un suo collega, che indossa un impermeabile della società dei trasporti ed è per strada, fermo a un incrocio: per questi due fragili motivi (l'impermeabile, non guida) immediatamente investito dai disperati "utenti" di un'ampia autorità

Il collega,interpellato dal nostro autista, risponde : "E che ne so 'ndo devi annà? Vai appresso a tutti ll'artri, da quarche parte girerai, senno' torni 'ndietro!"

Si ascoltano così sul bus discorsi surreali, da fine del mondo, da sequestro afghano, provenire dai telefonini degli sventurati che sono usciti e sono ora incolpevoli prigionieri del mezzo pubblico, solo uno dei tanti che formano un serpentone che si snoda nelle vie tormentate di questa città: "Sono dentro un autobus, si, ma non so dove va, non so dove posso andare io, non so dove arriverò e quando, certo non più stamattina ormai...no, non so davvero come tornare indietro, da dove, come......."

Però non eravamo su un bus afghano e nemmeno sul tour della fine del mondo, se mai ne è previsto uno, eravamo a Roma.

mercoledì 10 novembre 2010

ignoranza stupida-stupida ignoranza?

La domanda è: sono stupidi o ignoranti? Stupidi & ignoranti? e se si, più stupidi che ignoranti o più ignoranti che stupidi?
Basta, la stupidità, si sa, può essere contagiosa.
A cosa alludo, cosa mi ha stimolato questi profondi dubbi? Leggere sul quotidiano (ancora ci si informa, chissà perchè) che le politiche sociali riguardano "...la famiglia naturale basata sul matrimonio e orientata alla procreazione" dalla Conferenza nazionale della Famiglia, Sacconi ministro e Giovanardi sottosegretario dissero.
Quindi: niente alle famiglie non sposate con figli,(e niente agli sposati - pure in chiesa!- che figli non ne hanno).
Peccato! Non peccato in senso cattolico, sempre incombente peraltro.
Peccato che da 62 anni l'articolo 30 della Costituzione italiana equipari i figli naturali ai figli legittimi, così come pari sono doveri e obblighi dei loro genitori; peccato che il Codice civile stabilisca che i genitori debbano sostenere finanziariamente i propri figli, senza badare alla loro origine, che derivi essa dal sacro coniugio o da un'unione naturale. Solo cavoli e cicogne sono esclusi.
Insomma, doveri e diritti "nascono", è il caso di dirlo davvero, insieme con i figli, matrimonio o non matrimonio, e non esistono, grazie a Costituzione e Codice, famiglie più famiglie di altre.

Doveri e diritti; diritti e doveri.....stupidità e ignoranza; ignoranza e stupidità...è davvero, come il matrimonio, una questione di coppia.

venerdì 8 ottobre 2010

BABA'? BABBA'?

Il babà E' IL DOLCE ASSOLUTO, anzi, è il dolce assoluto, non ha bisogno di un maiuscolo urlato.
Anzi: il babà è.

Qualche parola di spiegazione, per quanto mi possa sembrare assurdo che sia necessario spiegare un'evidenza tale.

Ho un amore altrettanto assoluto per il babà, so farlo, e nel mio amore assoluto ammetto solo le forme "pure", fungo e tonda grande (ma NON la ciambella del savarin, che sta bene solo col domestico ciambellone) col foro al centro pieno di babà piccoli.
Basta.

La semplicità è il suo equilibrio, la sua delicatezza è la sua forza. Non ha bisogno di esibirsi, essendo perfetto. Sono sinceramente offesa quando lo vedo con crema o con panna!
E l'orrore delle ciliegie candite?! delle fragoline?! come si fa a rivestire l'eleganza assoluta in un modo così volgarmente pretenzioso?

Da napoletana "ad honorem" quale mi considero, ho una mappa aggiornatissima dei migliori pasticcieri napoletani (non esistono altre città), dalla collina ai "quartieri". Il babà mi accompagna da sempre e, quando ho dovuto fare un dolce che mi facesse fare "bella figura" la prima volta che ho incontrato i genitori del mio attuale marito, allestii una finzione con il babà al suo centro.

L'anziana mamma napoletana di una mia amica, che l'aveva appreso nella sua vecchia famiglia direttamente da un monsù (!) si offrì di farlo lei, "bagna" messa nel bottiglione compresa, che naturalmente portai a tavola così com'era a riprova della fattura casareccia del dolce.
Il babà era divino, la bagna pure, e i genitori furono conquistati; poi, nel corso degli anni, ho dovuto impararlo davvero, avendomelo richiesto spesso, e la considero un' abilità che mi spiace non poter inserire nel mio curriculum. Del resto, la mia prima password del p.c. è stata "babà" e mi sono sempre chiesta se la scrittura giusta napoletana non fosse invece "babbà".

Borges pubblicò un libro, fra i suoi ultimi credo poco noto,che io comprai 25 anni fa e che forse si ripubblica ancora, da Mondadori, che si chiama "Atlante".
E' un libro elegante e smilzo, con foto e, come scrive Borges stesso nel "Prologo" , "...(non sono) testi illustrati da foto o foto spiegate da un'epigrafe, ogni titolo comprende un'unità fatta d'immagini. Inizia scoprendo l'amaro, i sette colori dell'arcobaleno, le lettere dell'alfabeto..."

Insomma, a pagina 33 c'è la brioche, (altro mio amore) e Borges lì ricorda che i cinesi pensano che ogni cosa abbia il suo archetipo, e afferma che quella brioche, di cui lì si ha memoria in foto, "è l'Archetipo" della brioche.
Io credo che il babà sia l'Archetipo di se stesso.

Anche Alberto Savinio si può inserire e mescolare "dolcemente" a questa compagnia: nella "Nuova Enciclopedia", edito da Adelphi (un'altra delle letture "perenni" per me)alla voce "Dolce", pag.110, Savinio racconta di un incontro con un'amica, in una via di una città fredda e in un'ora tarda, elementi entrambi che invitavano a cercare conforto (Savinio scrive "gemutlich") in un luogo chiuso, che nell'offerta di Savinio alla gentile signora era una pasticceria.
La signora declina: "Non ho fame"... Savinio sente " soffiare nell'animo un fiato di morte".

Ricorda quindi la trista Dea Fames, la parola stessa è: "gonfia di lezzo e di tenebra", laddove i dolci sono da noi accettati solo se: " saziata è la fame, placata la necessità... siccome si ridesta la poesia, spento che è il dramma e la necessità. Dimenticato quel che (...) di cupo e mortale è nell'operazione di nutrirsi , ci riconcilia con la parte divina della vita e fa rifiorire in noi il riso(...) E dopo il dolce viene la frutta (...) . La poesia del dolce è troppo intellettuale, troppo cerebrale: onde sciolti da quella divina pazzia, torniamo per merito della gentilissima Pomona alla poesia più mite e tranquilla della terra".

La citazione è lunga, ma la "voce" dell'Enciclopedia lo è molto di più, e non sono sicura che i miei tagli rendano la "delizia" del pezzo, che consiglio vivamente.

Il mio senso di colpa, che sempre mi segue, mi costringe dopo questa lunga elegia a citare Napoleone: "Dal sublime al ridicolo non vi è che un passo" ....ma la tolleranza, che pure esercito, per fortuna anche verso di me, mi ricorda anche la frase di Heine: "Dal sublime al ridicolo non c'è che un passo! Ma poi la vita è così fatalmente seria che non la si sopporterebbe senza questa unione del patetico con il comico".

mercoledì 22 settembre 2010

La vignetta che avrei voluto scrivere io (3)

Mercoledi 22 settembre, di ElleKappa.
Due donne sedute, quella che legge il quotidiano informa l'altra: " Interessante test per la maggioranza" e l'altra: "Verifica il casalese che è in te".

ElleKappa, come sottolinea Altan (che la stima moltissimo ed è l'unica "collega" che citi) scrive "sull'oggi" e questo è prezioso, ma va spiegato, ahimé, dopo un po'.
Il riferimento è qui al pronunciamento della Camera dei Deputati sulla richiesta della magistratura di usare le intercettazioni a carico di Nicola Cosentino, emissario dei Casalesi presso le istituzioni patrie, e tuttora in Parlamento.

La Camera ha negato l'autorizzazione.

mercoledì 8 settembre 2010

Cronache dal traffico (1)

Inauguro oggi questo spazio di "cronache dal traffico" non per innestare inutili lamenti nè per informare di lavori in corso, ma perchè stare seduti nelle scatole di metallo e plastica che ci portano di qua e di là ha degli aspetti intriganti .

Sono convinta, per esempio, che l'aria condizionata, che ormai hanno pure le cilindrate minime, escluda da una gran quantità di contatti umani, forse interessanti.
Io ricordo sempre con nostalgia un "aggancio" con uno spiritoso motociclista, vestito in modo gradevole - nè da oppresso travet nè da easy rider fuori tempo - moto grande e robusta, che a ogni semaforo di una strada piena di interruzioni, in una mattina di un luglio infuocato, chiedeva con garbo se potevamo fare un po' di strada assieme, a me che lo affiancavo in auto, col finestrino aperto.
A un semaforo ulteriore educatamente si presentò, e al mio gesto di fastidio (era un nome che mi evocava cattivi ricordi) subito propose, spiritosamente, di cambiarlo....io ero divertita, pure lusingata, ma sempre troppo seria dissi che non era necessario, che mi ero da poco accasata..... con un buffo gesto di disperazione, il motociclista disse che allora dovevamo separarci per sempre....e svoltò alla prima curva.

Un' altra volta, pomeriggio sempre estivo, io guidavo e un' amica mi stava a fianco, finestrini spalancati per la calura, fummo corteggiate a distanza ravvicinata da un'auto con due operai, probabilmente edili, che avevano sul tetto della loro scassatissima auto una porta addirittura.
"Con una porta sul tetto addirittura! non mi pare il caso!" si lamentava la mia amica, e però ridevamo....insomma, dopo molti anni ho anch'io l'aria condizionata, ma non l'accendo quasi mai.

Stamane invece andando al lavoro affianco a un semaforo una berlina e sono attirata dal contrasto fra la guidatrice - una donna dal volto aggrondato che fissa il semaforo cupa - e il suo figlioletto, che le somiglia molto, ma è sereno - seduto dietro sul suo seggiolino che tracanna con attenzione latte da un biberon.

Dapprima mi fermo sull'idea che non sono più solo gli adulti che ingoiano colazioni al volo per strada, ma pure i piccoli adesso....poi sono attirata da un fiotto di liquido che la loro auto perde dal motore.
Subito mi agito, comincio a suonare il clacson (non troppo forte, disturberei invano tutti, dato che la signora con l'auto che "perde" non mi è vicina), poi muovo le mani, le braccia per attirare la sua attenzione. Inutile, lei non se ne accorge, ha i finestrini serrati e dopo un po' addirittura guarda dall'altra parte, il semaforo che non diventa verde sembra averla incupita ancor più.

Chi è attratto, anzi rapito da tutto questo mio movimento è il figliolino, che abbandona il biberon, e col latte che gli cola dal mento sorride entusiasta, poi si agita di rimando lui pure, al mio sbracciarmi sbraccia, saluta credendo che io lo saluti.

Scatta il verde, la signora addirittura svolta dalla parte a me opposta e la perdo definitivamente.

Guido e penso che ho ottenuto col minimo sforzo il peggiore risultato: non l'ho avvertita e il figlio ha smesso di mangiare, sporcandosi.
Però, onestamente, mi sono divertita un sacco!

La vignetta che avrei voluto scrivere io (2).

Di Altan, due uomini su due poltroncine, il primo intervista il secondo con un microfono e gli chiede: "Lei pensa prima di parlare?"; e l'altro: "Mai, sennò perdo il filo".

Altan di nome completo è Francesco Tullio Altan, ed è il figliolo di Carlo Tullio Altan, che fu antropologo allievo di Ernesto De Martino, che ha insegnato nelle Facoltà di Sociologia ( di Trento, di Firenze) e che è stato il maestro di tutti gli antropologi italiani nostri maestri.

Carlo insegnava l'antropologia come una scienza che studiava l'uomo e le sue "reti" sforzandosi di iniettare l'idea che fosse necessaria una religione civile nel nostro Paese.

L'iniezione" è sempre stata rivolta agli studenti, ma anche ai politici, a chi leggeva i suoi scritti, a chi ascoltava i suoi interventi.

Non so quanti sociologi (e politici!) Carlo Tullio Altan abbia istruito e formato in questo senso; so per certo che il sociologo migliore che abbiamo in Italia, il più bravo, il più acuto, è lui, Francesco Tullio Altan.

sabato 3 luglio 2010

MEDITERRANEO

Apprendo dai giornali che il Ministro dell'Economia Tremonti definisce "cialtroni" i presidenti delle Regioni meridionali, incapaci di spendere i finanziamenti europei, eccetera...

Come un riflesso condizionato, una balestra, un elastico del mio (per altro molto provato di recente) cervello, spuntano due percorsi mentali.

Il primo ricorda che alcune Regioni, come la mia "virtuosa" Basilicata, e pure la Puglia, hanno speso - e bene - le loro risorse, e che il meridione ha le altre sue Regioni, guarda caso, governate da (eventuali) cialtroni di destra...

Questo "tracciato" razionale è travolto e superato dall'altro pensiero, nato su una notizia che pure avevo appreso dai giornali, ma il giorno precedente, e che già aveva sedimentato, si era ambientata, e molto bene, nelle mie fantasie.

In Sicilia, a Palermo e a Catania, sono arrivate le Biennali d'arte di Istanbul, Atene e Marrakech.

E' un progetto del Museo di Arte Contemporanea della Sicilia, tale RISO, e chissà cosa vorrà dire il fantasioso acronimo. Ci sono installazioni, concerti, opere in mostra, video-arte.
I nomi sono quelli di Nevig Aladag, di Abdellah Kanoum, ma anche di Isaac Julien, Seamus Farrel, che vengono di certo dall'Anglosaxonia, ovunque sia, e di Sofia Aguiar e Patricia Esquivias, che invece arrivano da un altro Sud del mondo.

Il Progetto infatti si chiama "Others", in inglese ahimé (come si dirà in greco, turco, marocchino? in lucano e siciliano lo so) e avevo pensato, leggendo, che "siamo tutti figli di Annibale", un pensiero che sempre più si affaccia, e che sempre finora avevo rifiutato, respinto: come una chiusura, come un ritorno, come una sconfitta.

Finora non sono arrivata ancora a unirmi al lamento di chi evoca i Borbone, (ma la conquista, l'annessione del Mezzogiorno andrebbe riscritta, nei nostri libri di scuola) e sono stata -sempre finora - convinta che bisognasse guardare avanti, andare avanti, crescere e soprattutto includere....

Anche questo io addebito, fra milioni di altre cose, a questa Destra che da troppi anni ci governa: che questo pensiero invece ora torni, che sia prevalente, l'unico possibile, perchè l'identità della figliolanza da Annibale è troppo forte e troppo bella, troppo ricca e troppo allegra, troppo colta e troppo solare, troppo libera e troppo accogliente, e finisce per restringere, per rinchiudere nella salvezza possibile e conosciuta.

venerdì 18 giugno 2010

Valori d'uso, valori di scambio

Alcune sere fa ho partecipato a Roma a un ricevimento in un' Ambasciata di un Paese straniero presso la S. Sede. L'occasione è il conferimento di un'onorificenza a un docente universitario italiano, nell'ambito dei lunghi rapporti intercorsi fra alcune università dei due Paesi, rapporti di studio, di scambio culturale. Il Paese straniero è molto popoloso e in crescita, era nell'ex blocco sovietico, ormai da tempo è pienamente nell'Unione Europea.

La sede - non distante dal Campidoglio, ma in una piccola e strettissima via appartata e segreta, che non avevo mai visto -è in un palazzo del pieno Rinascimento: i soffitti a volta delle scale sono affrescati con grottesche policrome, bellissime, che sovrastano gradoni bassi, fatti apposta perchè possano salirci i cavalli, montati da nobili, o piedi di cardinale, inguainati in comode, morbide pantofole...

Che i gradoni molto bassi avessero queste finalità l'ho appreso non a Roma, città di palazzi nobili, ma a Napoli, città di palazzi nobilissimi. In tempi lontani anch'io ho vissuto in uno di questi , disegnato addirittura dal Vanvitelli, architetto della Reggia di Caserta, che nel "mio" palazzo aveva sfoggiato molto della sua potenza immaginifica, con scale elicoidali doppie su ogni piano, specchio l'una dell'altra, e un gran portone nel centro, loro punto d'incontro, dove io regolarmente rimanevo bloccata; ma questa è un'altra storia.

In Ambasciata invece tutte le porte erano aperte, arredi e tappeti importanti ma consueti, da casa altoborghese; solo le numerose immagini cattoliche e qualche stendardo con l'aquila indicavano le origini .

La cerimonia del conferimento onorifico è breve, i ringraziamenti del premiato sono invece lunghissimi. Siamo tutti in piedi, è l'ora di cena e un illuminato tavolo imbandito attende in un salone, più in là si intravvede una terrazza profumata e colorata da molti fiori, appena illuminata da qualche fiammella.

L'ambasciatore interviene con garbo per sollecitare il premiato a concludere, sviando i complimenti alla sua persona. E' stato Presidente del Consiglio del suo Paese, è professore universitario ma con estrema naturalezza, grande gentilezza e familiarità verso tutti gli ospiti, spinge verso la cena, spiega i piatti che ci attendono, ne traduce i nomi.

Ovviamente delega ai camerieri, ma gestisce, coordina, va di qua e di là, sostiene le conversazioni, si accerta che tutti siano a proprio agio.

Il massimo lo raggiunge però quando io, incuriosita dal colore e dal sapore sconosciuti di un zuppa - e in compagnia di una professoressa con le stesse curiosità, altrimenti mai avrei osato - chiedo cos'è, cosa c'è dentro. Una domanda rivolta a nessuno in particolare, che si potrebbe fingere di non aver sentito e nulla accadrebbe, nessuno si offenderebbe, nemmeno io.

L'ambasciatore lì vicino invece si blocca, e minutamente ci spiega gli ingredienti, la loro composizione ... ci manca solo che ci riferisca quanto costino nei due mercati, quello del suo Paese e il nostro. Da lì iniziamo una conversazione sulle verdure, sulle ricette e cucine di tradizione, ma dopo un po' la sua presenza è richiesta e si allontana. Anch'io gironzolo - ciotola di zuppa in mano - e quando torno sento la sua voce impegnata in un'analisi dotta e dettagliata di assetti istituzionali.

Quando, stanchi, decidiamo di congedarci, a tutti i costi vuole accompagnarci alla porta personalmente, come fanno le brave padrone di casa.

Già, perché l'Ambasciatore è un'Ambasciatrice, e l'Ambasciatrice al femminile è una realtà rara quanto quella di Presidente del Consiglio al femminile .

Probabilmente mi fa velo un pregiudizio positivo, ma nella mia vita ho conosciuto alcune donne molto importanti in campi diversi: managers, docenti universitarie, commediografe, musiciste, consulenti aziendali, politiche, imprenditrici, attrici, scrittrici, architette: alcune di gran successo, alcune miliardarie...tutte, ma proprio tutte se il caso, in grado di passare, e pure volentieri, dalla "capacità di creare valori di scambio alla capacità di creare valori d'uso": un'espressione sintetica e molto efficace , ma marxiana, perciò oggi desueta.

Insomma, Presidenza del Consiglio e zucchine ripiene; previsioni econometriche e candeggio sbagliato. Non solo pampers e badanti però, l'expertise non necessariamente si divide fra costo del biberon e cura dell'Alzheimer : non è cioè soltanto l'eterna attitudine (?) o destino delle donne alla cura.

Può essere infatti anche il costo delle ultime ballerine Tod's o la spiegazione dell'efficacia di una crema "testata su di me" - come mi diceva un'amica che è ricercatrice dello staff del premio Nobel Levi Montalcini - e accompagnava l'informazione con una dotta disquisizione chimica sui radicali liberi e sulle micro-gocce di reagente usate in laboratorio per gli esperimenti da pubblicare, micro-gocce che, fra le loro possibilità , hanno pure quella di distruggere irrimediabilmente i collant della ricercatrice stessa.

Sono certa che le stesse micro-gocce possano distruggere anche i calzini maschili dei collaboratori dello stesso premio Nobel, ma dubito che qualcuno di loro lo direbbe: è cioè la capacità di mescolare l'alto e il basso, e il basso non sempre è meno importante...

Le donne sono diverse.
Lo so, non è un'affermazione rivoluzionaria, ma anch'io, che pure a questo genere appartengo, sono riuscita a stupirmi piacevolmente (tanto che ancora ne ho memoria) di quello che mi disse una professoressa, qualche anno fa.

Mi aveva invitata a presentare una relazione al congresso biennale dei fisici italiani; io avrei parlato di politiche formative, ma si può immaginare un contesto più tecnico e formale? Nel congresso lei aveva un ruolo centrale, nonchè un curriculum di vera scienziata e anche di vera donna di potere nella corporazione universitaria.

Le telefonai appena sbarcata dall'aereo, per sapere come raggiungere il campus universitario sede del congresso, e lei mi disse che un' automobile era pronta per prelevarmi, ma il tempo era meraviglioso ed era un vero regalo dopo tanta pioggia... forse avevo voglia di passeggiare prima sul mare, fermarmi a guardare un palazzo rinascimentale (ricordando un mio rapido accenno di chissà quando) o qualche vetrina? insomma "fare qualcosa di piacevole per me, prima di chiudermi in un bunker con la luce elettrica anche di giorno?" testuale.

Nutro forti, fortissimi dubbi che un suo collega maschio avrebbe ricordato, anche a se stesso, che in quella città c'era il mare.

martedì 15 giugno 2010

La metafora (di una parte della vita)

C'era una volta un grande guerriero, un valoroso combattente.

Aveva trascorso tutta la sua vita in guerra: era nato in un accampamento dove si preparava la battaglia, ultimo di una stirpe guerriera quant'altre mai, sempre in conflitto; era cresciuto ed era stato allevato nel culto della tensione che si scioglie nell'aggressione, nel corpo a corpo, nella lotta che, sola, può permetterti di conquistare lo spazio vitale, e di salvarti.

Adulto, aveva condotto mille battaglie, infinite lotte con tutte le armi possibili, interamente coperto dalla sua lucida armatura, che ormai era riconosciuta da lontano: un famoso guerriero che aveva fatto del mestiere delle armi la sua ragione di vita.

Sempre in sella sul suo fido cavallo aveva percorso infinite geografie di luoghi ignoti, in cui sempre si era battuto con onore, a volte vittorioso, a volte sconfitto e ferito anche gravemente, ma sempre senza mai indietreggiare, senza mai fuggire, senza mai abbandonare il campo di battaglia.

Un giorno, mentre percorreva contrade ignote, e si era spinto molto più in là di qualsiasi altro luogo conosciuto, d'un tratto si rende conto, non sa bene come, che dietro l' ultima collina troverà i nemici più forti e temibili che mai abbia dovuto affrontare, i più spietati e feroci, che stanno ad aspettarlo.

Con calma cavalca sul crinale della collina, e dall'alto vede l'accampamento, i preparativi per accendere i fuochi nel crepuscolo: sa che i nemici possono vederlo, anche loro sanno che è lì e domani alle prime luci dell'alba verranno a cercarlo.

Il guerriero torna indietro e, con calma, si accampa per la notte, la notte della battaglia più importante. Sa che domani potrebbe non avere scampo, è solo, la lotta è impari, domani potrebbe trovare la morte.
Il guerriero è tranquillo, la sua armatura è più lucente che mai, le sue armi affilate e sicure.
Ha tutto quello che gli serve, e si addormenta.

L'indomani è già sveglio prima dell'alba, non vuole arrivare in ritardo al suo appuntamento, alla battaglia della sua vita: monta sul cavallo, addirittura lo sprona al galoppo.
Finalmente arriva sull'altura della sera precedente, e guarda nuovamente in basso: la scena è ancora più animata e terribile, i guerrieri sono innumerevoli, un'intera armata feroce e pronta a partire per cercarlo.
Il guerriero vuole precederli, sa che la sorpresa può giocare a suo favore e aiutarlo, è esperto ed è una tattica che ha già usato, sta per slanciarsi dall'alto col cavallo, ma....d'un tratto si ferma, impietrito.

Si guarda: guarda le sue gambe, le sue braccia, le sue mani, il suo corpo: le gambe sono nude, le braccia sono nude, le mani sono nude, tutto il suo corpo è nudo.

Non ha armi, non ha armatura, non ha nulla: è alla battaglia della sua vita completamente nudo.

E, all'improvviso, si rende conto che ha tutto quello che gli serve.

martedì 1 giugno 2010

La vignetta che avrei voluto scrivere io (1)

Ieri su "Repubblica" la vignetta di ELLEKAPPA (che avrei voluto scrivere io):


  • due donne, la prima: "Proteste nel governo, manovra nel caos".

  • la seconda: Maggioranza sull'orlo di una crisi di servi".

ELLEKAPPA ha la nitidezza - e l'icasticità - di Flaiano, del migliore Flaiano ("gli italiani sono sempre pronti a correre in soccorso dei vincitori"; l'Italia è un paese dove gli italiani sono accampati")


Ovvero, l'arte assoluta di dire TUTTO in POCO spazio.


E se (ancora con le parole di Flaiano): "L'Italia è il paese in cui la distanza più breve fra due punti è l'arabesco", io sicuramente sono italiana; forse, ELLEKAPPA e Flaiano no.

venerdì 28 maggio 2010

Cosa può unire bimbi in festa e un mercato bio?

Ieri ho attraversato i Giardini di Piazza Vittorio a Roma, e sono stata assalita da una specie umana, che in questa città è sempre un po' nascosta, e si può intravvedere a volte solo dentro le automobili, sui carrelli della spesa al supermercato, in qualche marciapiede: bambini.

Sciami colorati di bambini , nell'età delle elementari, che correvano di qua e di là, seguiti da maestre (e da mamme che sempre suppliscono tutti i welfare possibili) oppure che erano fermi sotto vari gazebo, alcuni a dipingere, altri a comporre puzzle su come sono belli tutti i cibi del mondo.

Ricordo di aver letto di "Scuola in festa" e della polemica che l'aveva accompagnata, essendo una manifestazione inaugurata da rappresentanti di pubblici poteri che la scuola la tagliano, e forse la odiano.
Cammino contenta della vista dei bimbi, e anche delle attività che li coinvolgono, mi piacerebbe fermarmi anch'io in una di queste, quando sento una musica fortissima provenire da un palco, un "tump-tump- yè, tump-tump-yè" assordante: in alto, altri bambini che si dimenano: i maschi come in un video -clip, le bambine come su un "cubo".
Sono impietrita a guardare, ma sono l'unica, la maggioranza degli adulti presenti non ci bada, qualcuno incita.
Mentre mi allontano, ho un ricordo: la scorsa settimana, in una domenica finalmente assolata, mi faccio convincere da qualcuno che mi segnala una vendita di prodotti biologici e a km zero nello spazio più grande del Mattatoio: un gran prato verde, dove i bambini (ancora loro) possono correre liberi, ci saranno tante cose buone da assaggiare e da comprare: le cipolle rosse davvero e davvero calabresi! le olive davvero saporite! il pane davvero di segale-farro-miglio-alghe!...vado.

Dall'ingresso il tratto da percorrere a piedi è lungo e suggestivo, in questo spazio di architettura inizio secolo così bello, la giornata è serena, ma.....noi poveri malcapitati, entusiasti e curiosi, più tentiamo di avanzare e più veniamo respinti, come accadeva allo sbarco in Normandia.
Respinti e assaliti non da granate, ma da un immane, insopportabile fracasso; un baccano che, come il fiato di un drago, ci avvolge in una intollerabile nuvola rumorosa.
A fatica, barcollando urtati dai decibel, cerchiamo di guadagnare almeno l'ingresso del grande prato, per capire.

Dentro, in mezzo a questo enorme spazio erboso e verde, in cui pure ci sono banchetti dietro i quali si tenta di affettare prosciutti e pesare pani, tutti urlando, chi chiede e chi dà, cercando di capirsi, ebbene, proprio nel centro c'è un palco gigantesco, qualche strumento a percussione, il cui tump-tump è qui amplificato all'ennesima potenza.
Sul palco una donna e un uomo , con vari microfoni, incitano a partecipare a una gara canora, ma non capisco altro perchè giro su me stessa e scappo, insieme con tutti i disperati che erano entrati, fiduciosi, con me.
Non posso non ricordare che noi bambini avevamo le zuccherose canzoni dello Zecchino d'Oro o, in alternativa, "Va pensiero sull'ali dorate-e-e", che bisognava non stonare nelle numerose inaugurazioni a cui dovevamo presenziare, in prima fila in quanto infanti.
Non posso non vagare nella memoria in altri prati con primizie, o tardizie, quando il rumore era l'abbaiare dei cani e i bambini strillavano perchè scoperti a nascondino, e c'erano risate e pure silenzio, qualche radiolina qua e là.
Eppure, non è l'arcadia di Nonna Speranza (1870) ma solo qualche decennio fa; non sono le immagini bucoliche del Montenegro, o del Nottinghamshire, ma dell'Italia, anche di Roma.
Ha ragione, ogni giorno che passa, e sempre più, McLuhann ("sto' menagramo di Mc Luhann!" dicevamo all'università, e non si poteva parlare di tv senza citarlo, e pareva tutto così colto e così lontano...) : "...è il mezzo che determina i caratteri strutturali della comunicazione, con effetti pervasivi sull'immaginario collettivo...."










martedì 18 maggio 2010

homo oeconomicus e comportamento razionale al tempo della Destra

Leggo oggi gli articoli dei quotidiani sul ddl Lavoro che reintroduce l'arbitrato nelle controversie legate alla soluzione dei rapporti di lavoro, arbitrato su cui persino il Presidente della Repubblica si era pronunciato, chiedendo di tener conto della debolezza evidente di un neo-assunto rispetto all'azienda.

Il Pd aveva presentato un emendamento che introduceva la scelta del lavoratore, la possibilità cioè di scegliere se rivolgersi al giudice o a un collegio arbitrale; il relatore del PdL, Castro, annuncia che la maggioranza ha deciso di non accettarlo.
La motivazione è: "...proporremmo un modello antagonista, e soprattutto favoriremmo una posizione opportunistica, il lavoratore sceglierebbe tatticamente quello che più gli conviene!"

Ecco, appunto.

Questa destra ha una capacità ineffabile, indicibile, che proverò appunto a "dire", a descrivere, e che mi stupisce e mi affascina, come mi affascinano i giochi di prestigio, anche quelli stupidi.

Il fondamento della teoria economica classica ( e dunque del liberismo tanto caro persino a questa destra, che ne riempie i discorsi, e caro anche a tutta la destra mondiale, il che non è poco) è l'"homo oeconomicus", che, in quanto razionale, persegue la massimizzazione del proprio benessere; questa è addirittura calcolata dagli economisti con una funzione matematica, detta "funzione di utilità" .
Cosa fa in sostanza l'homo oeconomicus, razionale per definizione?

1)analizza le situazioni e il contesto in cui si trova, cercando di prevedere gli accadimenti futuri che lo coinvolgeranno;
2)massimizza la sua utilità, usando al meglio le risorse di cui può disporre.

Importante: la nozione di utilità è associata in economia a quella di benessere!

Ne consegue dunque che, soprattutto in un "meraviglioso" mercato interamente libero -quello che la destra dice di amare e a cui dovrebbe tendere - attribuendo a tutti gli agenti economici queste caratteristiche razionali, la somma delle utilità degli individui singoli diviene "il" benessere sociale.

E qui mi fermo, ma (so che) si potrebbero costruire modelli matematici che massimizzano l’utilità di ciascuno, ovviamente complementari alla ipotesi dell’efficienza del mercato.

Tutto ciò ricordato, la domanda è: perchè ciascuno sì, come dice la teoria di cui sopra, ma i lavoratori no, soprattutto i neo-assunti?

Perchè gli "agenti economici", cioè quelli che agiscono, semplicemente, in un mercato, come anche quello del lavoro è, possono avere comportamenti razionali, ma questi benedetti neo-assunti no e poi no?

E perchè noi tutti (anche le imprese, e giustamente) possiamo sommare le nostre utilità singole e sentirle definire "benessere collettivo", ma l'utilità dei neo-assunti assolutamente non dev'esserci?

Il gioco è di prestigio ma di quelli stupidi, l'avevo premesso!

Però mi colpisce sempre, come quando si sa che le monete ( o i fazzoletti, o i conigli ) erano lì da prima, e uno dice "...che stupidaggine!" eppure guarda, ascolta, si è concentrato ad osservare....

giovedì 13 maggio 2010

Le pantofole dell'Orco

Anche ieri l'altro c'era sui quotidiani un aggiornamento della infinita contabilità delle donne che hanno perso la vita perché ammazzate, da uomini che un tempo erano i compagni di quella stessa vita.
Storie diverse sempre uguali; morti violente, perchè le donne non devono avere possibilità alcuna di salvarsi: cinquanta coltellate in un luogo pubblico - addirittura in una struttura di conciliazione familiare - per una; per l'altra, una revolverata in faccia appena aperta la porta.
Donne che si fidavano, che volevano mediare,che avevano con sé i figli, che avrebbero voluto solo continuare una vita, forse decente, di persone.

Anche le donne uccidono, certo, ma come non rimanere sempre, ogni volta, inebetiti di fronte a questi elenchi in cui appaiono aggiornamenti contabili ma non variazioni di rilievo, i maschi che ti uccidono dicono poi che si sentivano persi da soli, che erano gelosi, che volevano punire, annullare una realtà inconcepibile.....

Come non rimanere sempre, ogni volta, inebetiti di fronte a questa eterna crocifissione delle donne al ruolo di "cosa", di proprietà di qualcuno, di qualcuno che è stato il tuo compagno ed è ora il "tuo" Orco, che ti mangia?

Qualche tempo fa lessi un libro che aveva questo titolo : "Le pantofole dell'Orco", storie di ordinaria violenza domestica, (che contrasto fa questa parola rassicurante e un po' noiosa, "domestica", con l'aggettivo che qui l'accompagna...)

IL titolo glielo aveva messo una donna che aveva raccolto alcune storie, un ventina, ma avrebbero potuto essere duecentoventi o due o ventimilioni, erano tutte diverse e tutte uguali, e quello che le univa era che l'Orco, si, aveva proprio le pantofole di casa.

mercoledì 12 maggio 2010

Frequentare un Comitato Femminile al tempo della Destra

Ho partecipato la scorsa settimana a un incontro a inviti – ma pubblico – su alcuni temi di interesse generale (l’esclusione, la povertà) declinati al femminile.
Al centro dell’attenzione, dei discorsi, delle attenzioni, le donne, sempre più povere, sole, neglette.

A parlare, signore vice-capo di Gabinetto di Ministre (ahimè, senza portafogli alcuno, però piene di intenzioni e soprattutto di rivendicazioni di cose fatte), coordinatrici di ostelli cattolici, assessore al lavoro & alla famiglia….
Le parole, soprattutto quelle d’ordine che si credevano consunte dall’uso e invece no, si sono rincorse fra loro rievocando altri incontri, altri seminari, dibattiti, tavoli, conferenze- stampa….

E in effetti, cos’è che dovrebbe marcare la differenza, o almeno “una” differenza?

Rifletto che le istituzioni, anche quelle piccole come gli assessorati - e giù scendendo, i comitati, le consulte, i circoli - e i ruoli che alle istituzioni danno corpo, e soprattutto il potere che li accompagna (anche se questo è piccolo, minuscolo, locale, circoscritto alle enclaves ) ebbene, ampiamente predominano sulle diversità culturali, sui cambiamenti di alleanze e di gestione politica, che pure accadono e dovrebbero poi comparire, apparire in qualche forma…..

E’ l’istituzione che ha una sua forza monolitica e immutabile, e dunque “informa” di sé quelli (quelle) che le rappresentano, rendendoli identici, o sono gli obiettivi, talmente positivi, da rendere indistinguibili le “casacche” indossate?

Tenderei a sbilanciarmi completamente a favore della prima ipotesi: la forza del ruolo politico è tale che tutti/e finiscono per celebrare la “messa cantata”: la ritualità delle azioni e dei discorsi, delle proposte e degli incontri, in un girotondo autoreferenziale, recinto più o meno ampio in cui si piange, si esulta, ci si lamenta, nel tempo.

Però…..la declinazione degli argomenti al femminile, la presenza quasi esclusiva di donne fra le relatrici e fra il pubblico e, non ultimo, il mio essere appartenente allo stesso “genere” fa si che, come in un convento di suore di clausura, in un harem, in un gineceo qualunque insomma, la parola “casacca” scivoli nell’evocazione di nient’altro che un guardaroba, anzi molti guardaroba, declinati, questi si, in maniera diversa!

Ecco che finalmente esco dal mio stato sonnacchioso, in cui ero precipitata dopo essere stata scossa come ogni giorno dalla lettura del quotidiano ( “l’euro è precipitato, è in caduta libera! scoperte fosse comuni di centinaia di kosovari! la sede della conferenza stampa più vergognosa dell’ultima…settimana non era al Bagaglino ma a Palazzo Chigi! la nube ritorna!) e rifletto che è proprio questa “la differenza che fa la differenza”.

Noto infatti che sono quasi scomparsi i tailleur “tagliati comodi”, i dolce-vita caldi e a volte sintetici; sparite le borse “divertenti”, comprate forse a Londra ( ho trovato un banco a Covent Garden…!) a forma di innaffiatoio, in pvc coloratissimo verde prato o rosso fragola, oppure cucite con maniche di giacche maschili, in Principe di Galles; stessa scomparsa per le valigette da lavoro di nylon nero, residuo di convegni regionali e riconoscibili dalle scritte, in cui poter stipare carte e portafogli, rossetti e foulard; spariti i blazer “stile Armani” delle più giovani e rampanti, gli stivali “di moda” comprati nel negozio sotto casa; assenti le collane etniche, le maglie…..le maglie, dove sono?
Neanche una.

Scomparse pure, perdute nella memoria di altri incontri in tutto simili, le “stazze generose” di donne in età con capelli brizzolati e tagliati alla maschietta, come si diceva un tempo per ingentilire la definizione di un taglio maschio e corto; sparite anche le chiome disordinate tenute da fermagli o, in caso di signore davvero indaffarate e più giovani, da matite; occhialoni da miope e pantaloni comodi, “devo starci dentro tutto il giorno” , grigi o blu, a volte a quadri .

Ora invece mi accorgo di essere circondata da una marea nera, ma con qualcosa di bianco: il bianco è di tutti, ma proprio tutti, i pantaloni presenti, aderentissimi su tacchi chilometrici, a zeppa, di scarpe alcune già aperte in punta, nonostante la temperatura ancora rigida e la pioggia, che scoprono alluci adeguatamente dipinti di rosso o di marrone.

Il nero è di giacche strizzatissime (penso che ci vorrà il calzascarpe per sfilarle) tagliate rigide, sopra camicie trasparenti dalle scollature profonde: dentro, donne che non pesano più di cinquanta chili, capelli biondi e vaporosissimi, nessuna “ricrescita” imbarazzante, nessuna piega “come viene viene”, niente nodi, fermagli, brizzolature naturali.
Le borse sono tutte di gran firma, o eventualmente di marca, tutte o piccolissime o grandissime, tutte semivuote.

Si chiacchiera molto, moltissimo, nessuna ha un bloc notes, che non servirebbe perché nessuna ha preso appunti.
Solo io mi sono sentita in dovere di domandare, alla reception, avendo chiesto una biro che non ho avuto perché “non prevista” : “… e come si fa a scrivere?”

La risposta “…tanto non c’è neanche la carta!” , era un dato di fatto, la cartellina infatti conteneva solo lucide brochure su progetti finanziati, su cahiers de doléance, su gruppi di lavoro: numerosi.

Il cosiddetto “corridoio”, luogo perenne ed eterno di ogni incontro politico, dai congressi sindacali e dei partiti ai rinnovi delle tessere delle associazioni professionali, costante di ogni assise in cui ci sono decisioni da prendere e risorse, pure infinitesimali, da sistemare, era presente pure lì: è lì che mi sono accorta dei piedi dipinti.

Però non si ascoltavano, passando, frammenti di trame più o meno riservate, né dialoghi smorzati su alleanze da assestare, né accenni su accordi a danno di e a favore di.

No, le conversazioni, comunque fervide, vertevano su un piano bonario e familiare, come quando in famiglia appunto si conversa, a tempo perso, di parenti appena acquisiti che si conoscono poco, ma tanto bravi: “…è ’ vero si, prima era il gastroenterologo suo personale, ora come sottosegretario viaggia sempre, non si vede mai, ma è serio, emana un sacco di circolari e li mette in riga….”

…”si, prima recitava, ballava, e non era neanche male, io l’ho vista una volta a X; però bisogna riconoscere che ora si è messa a studiare, non le si può dire niente come Ministro, è quella che fa le proposte più serie, quelle che ci vogliono….ora si sposa pure…."

“…quando è che c’è il prossimo Forum internazionale? Noi come Comitato andremmo tutte a Istanbul, tanto stiamo in gruppo, che vuoi che ci succeda anche se usciamo, mica staremo sempre in albergo, no quella dei cammelli è una favola, non ci sono più neanche lì…."


La situazione si agita al momento del buffet; chi pensa che il genere femminile stia a dieta per definizione si sbaglia e una delle prove è la pausa pranzo di ogni convegno che si rispetti e che, se è tale, deve avere incorporato un “time lunch”.

Qui qualcuno avrà pensato che, essendo i presenti tutte donne, sarebbe stato opportuno, e più femminile, il cibo “da prendere con le dita” : minuscoli canapé farciti; quadrucci di pan carré con un micro-gamberetto; triangolini di quiche; tazzine delle bambole con dentro budini colorati…..immediatamente il muro umano diventa invalicabile, il corpo a corpo aggressivo.

Quando vedo che tutti gli altissimi tacchi con zeppa si sono schierati, assumendo il minaccioso assetto di guerra dei “cavalli di frisia”, a tutela dei varchi al tavolo, capisco di essere perdente: se finissi coinvolta nella lotta impari, con il mio mocassino sotto una qualunque di quelle armature, non potrei poi camminare per molto tempo, e come farei a frequentare altri seminari, altri comitati, altre consulte? Esco.

lunedì 19 aprile 2010

Femminile Mare (di Peter Del Monte)

FEMMINILE MARE
Immagini fotografiche di Peter Del Monte

Roma, galleria “Le Opere”
Via di Monte Giordano,27
Tel.+39 06.83607069
da giovedì 8 aprile fino al 24 aprile 2010


Peter Del Monte è un regista italo-americano interessante e singolare, che ha realizzato sempre film particolari per temi e immagini, soprattutto sulle donne: da: “Irene, Irene” a “L’altra donna”, a “Compagna di viaggio”.

In questa occasione è però fotografo, ed espone in questa piccola galleria del centro barocco di Roma una affascinante evocazione di scogli marini antropo-morfi, anzi “gino-morfi” , poiché i corpi sono femminili, distesi fra luce e buio.

E’ la luce infatti che dà corpo ed essenza a foto che sembrano ritratti, ma che non hanno niente di costruito, artefatto, manipolato.

Le foto esposte evocano magiche metamorfosi, fiabe antiche in cui le donne diventano pietre, e le pietre sono animate e vivono nel mare, possono sorridere o piangere, sdraiate nel chiarore dell’alba o attraversate dagli ultimi raggi di sole, prima che la notte arrivi, sempre carezzate dalle onde.

Un bellissimo, prezioso omaggio alla femminilità, al femminile.

lunedì 1 marzo 2010

in VIAGGIO



Oggi riprendo il “viaggio”, e per farlo prendo in prestito - permanente - questi versi da Elisabeth Barrett Browning, che ha catturato, tanto tempo fa, esattamente quello che anch’io sento quando sono “di qua e di là”, e lo ha fermato, per sempre.



"I'm Happy

This perfect solitude of foreign lands

To be, as if you had not been till then

And were then, simply that you choose to be".....