giovedì 7 luglio 2011

Il libro "Cuore" è sempre con noi


Qualche sera fa c'è stata una rissa in un rione romano che guarda il Colosseo.

Il rione ha conservato le ottocentesche  strette vie che hanno ricalcato il reticolo della antica suburra, secondo la logica urbanistica prevalente a Roma, per cui nulla si crea e nulla si distrugge.
Il luogo ideale per una rissa, nell'assenza totale del doveroso controllo del territorio, soprattutto di un sabato sera alcolico come ormai è abitudine anche da noi. 

In questa rissa, nata e cresciuta sull'esigenza di picchiarsi e niente altro -  nessuna provocazione, nessuna vendetta, nessun motivo politico -  un giovane musicista  è stato ridotto in coma e tuttora la sua vita è sospesa, in un ospedale: forse sopravviverà, forse no.

Uno di quelli che hanno partecipato a ridurlo in quel modo  è un bambino vivacissimo e strafottente, dagli occhi neri, lo sguardo e l'andatura da furetto: è venuto a casa mia a giocare con gli altri compagni di scuola  passandomi di corsa davanti come una freccia, e quando gli ho detto: "...beh?" "eh...beh,ciao, Mamma di M!" mi ha risposto, abbassando lo sguardo, una dozzina di anni fa.

Frequentava le elementari in un istituto privato e gestito da suore, con mio figlio e con tanti altri bambini della stessa zona, ma già allora era un bambino uguale e diverso dagli altri : molto aggressivo, reagiva picchiando, e molto sveglio e vivace.

Il suo ambiente familiare era decisamente più difficile di quello degli altri; pure, mi sembrava un bambino amato e seguito, a suo modo.

Ma qual è il modo giusto?

Era molto invidiato dai suoi coetanei perchè lontano parente di un giocatore di serie A, parentela di cui ovviamente era fierissimo e per la quale poteva indossare la maglietta da calcio col suo nome con molto più "diritto" rispetto agli altri piccoli Totti  e finti Maldini in formato mignon.
 
A me era simpaticissimo, mi piaceva la sua intelligenza pronta, come la lingua, e il suo ritrarsi veloce quando lo si fissava.

Un pomeriggio orribile, quando il percorso scolastico stava per finire,  le religiose che gestivano la scuola ritennero loro dovere convocare le famiglie, compresa la sua, per soddisfare le richieste di qualche genitore, disturbato dalla sua aggressività.

Fu orribile davvero, un processo in pubblico, in cui erano le suore a distinguersi per la loro rigida intolleranza e il desiderio di espellere quel corpo estraneo, quel bubbone fastidioso che tanto sporcava il lindore della scuola.

Fui proprio io, che allora mi interessavo agli studi sull'inclusione, e avevo molte più illusioni, a fare un intervento, davvero appassionato, appunto sulla grande opportunità che abbiamo di includere; sulla ricchezza e la gestione della diversità, sul ruolo dell'educazione e dell'apprendimento reciproco...

Fui convincente perchè ero commossa e indignata, e a volte le emozioni trascinano per contagio, se non per  razionale convinzione.
Funzionò.

Quello che in quel momento serviva, cioè non escludere il bimbo, cacciandolo via da noi, avvenne.
Il piccolo "Franti" rimase con gli altri "Enrico" che popolavano la scuola.

L'ho poi perso di vista, sommerso come tutti dalla vita e dagli impegni; sapevo ogni tanto dai racconti di mio figlio, che lo incontrava appunto nel quartiere,  che non aveva seguitato negli studi come tutti gli altri, e un po' lavorava  nel locale di sua madre, un po' giocava al calcio.

E' riemerso così.

Le foto non le ho viste, ma ho letto le sue dichiarazioni che i quotidiani hanno riportato, e mi hanno riportato anche la sua voce, intatta, di quando si giustificava dicendo: ..."gli ho dato solo 'du pugni!"  però quando l'altro bimbo piangeva, piangeva lui pure ed era addolorato davvero, e diceva che gli era scappata, che non voleva, che gli dispiaceva, e "non ti eri fatto male, vero?,  mai più, mai più...."

Non  so niente di questa dozzina di anni trascorsi, ma non c'è stata nessuna inclusione, evidentemente.

I falsi calciatori  in miniatura sono tutti all'Università, e hanno diligentemente seguito il loro destino di "Enrico" della classe.
Anche il piccolo calciatore vero, il furetto intelligente, non è stato in grado di sottrarsi al suo di destino, di "Franti" appunto, che aveva trovato già scritto davanti a sé.

martedì 31 maggio 2011

L'hellzapoppin allegro del pomeriggio "in ballottaggio"

Ci sono pomeriggi - e  sere, che a questi pomeriggi seguono -  in cui gli avvenimenti della propria vita non cambiano,  i problemi forse crescono, le stanchezze aumentano.

Eppure, si è allegri.

E non si ha voglia di fare analisi raffinate, del perchè e del percome; e neanche analisi rozze.
Si ha voglia di cantare.

E le canzoni che vengono alla mente sono assurde, scampoli canori di scempiaggini miste: la prima è, chissà perchè,  "Son tornate a  fiorire le rose/ alla dolce carezza del sol/ le farfalle si inseguon festose...", Sanremo anni Cinquanta;  poi  "A' tazza e café", quella che fa : ...ohi Briggida/ na' tazza  'e cafè parite/ sotto tenite 'o zucchero/ ma n'coppa amara site/ma tant che aggia girà/ e tant che aggia vutà/ che 'o doce sott'a tazza/ fino 'mmocca m'addà arrivà " ; poi ..."Cambierà, vedrai che cambierà/non so dirti dove e quando/ma vedrai che cambierà..." ,Tenco anni Sessanta .

La mente mescola e il cuore canta.

In un Paese che sempre hellzappoppin è, ma stavolta allegro, si sentono echi di : "é una sberla/è una spallata/è un congedo, non organizzo il mio funerale"...?

Tra immagini di una Milano che sembra Napoli, con il Presidente della Regione Puglia che urla e si agita, come nella notte della taranta, ma su un palco davanti la bela Madunina, e di una Napoli che sembra Milano, senza roghi, senza botti, senza urla, tanto il Masaniello c'è comunque, appena eletto, e sembra lui sì a un funerale, è troppo commosso, dice.

E anche se la dittatura mediatica - che esiste, non è quella di Berlusconi, ma esiste - non ci mostra anche Trieste, anche Cagliari , e tutte le altre città dove pure la tracimazione insperata è avvenuta, ma ci racconta soltanto che la "liberazione" ha investito pure loro, senza farcele vedere,  pure ci si accontenta.
Si vorrebbe dilagare anche noi, liberi e liberati, ma ci si accontenta di far parte di questo l'hellzapoppin del caos allegro, e si canta.

lunedì 16 maggio 2011

La vignetta che avrei voluto scrivere io (5)

"Rifiuti"

Dal quotidiano "La Repubblica" ,  di ElleKappa, 10 maggio 2010 .

Le due solite donne sedute, una dice all'altra: " Il Presidente del Consiglio ha risolto il problema dei rifiuti" e l'altra: "Gli ha trovato un posto da sottosegretario" 

martedì 3 maggio 2011

Vivere fra i beati



Ieri l’altro Papa Giovanni Paolo II, da soli sei anni defunto, è stato alacremente nominato “beato” dal suo successore Benedetto XVI.

“Finalmente beato!” strillava da un’edicola un giornale; forse si poteva renderlo beato ancora da vivo?

“Il Papa Santo! Il Papa Buono!”

In questo Paese, che quasi mai ha il senso della misura, del ritegno, del basso profilo, forse semplicemente della realtà, (per non ricordare il ridicolo), osserviamo una ricomparsa (forse“riapparizione”?) di riti pagani, forti anche in una religione come quella cattolica.

Dopo aver assistito alla santificazione di Padre Pio, secondo me il più rapido ritorno alla religiosità medievale degli ultimi tempi, credevo che l’attuale Papa, studioso, riservato, contenuto, proseguisse su un altro percorso, ma evidentemente è davvero difficile capire, per chi cattolico non è.

Certo, sono lontani i tempi in cui un Papa, Paolo VI, si interrogava, senza maiuscole né tournée in tutto il mondo, sul rapporto “… che vogliamo e dobbiamo avere con gli atei, persone che, nobilmente pensose, si interrogano sull’esistenza e sulla spiritualità, e con cui dobbiamo dialogare …”

Il dialogo con gli atei è pallidamente proseguito per altre vie, non certo papali né curiali; in compenso abbiamo assistito, in questi anni del pontificato polacco, ad esibizioni di una “religiosità muscolare”; al silenzio sulle reali sofferenze degli ultimi;  alla negazione della cura e della prevenzione di malattie come l’Aids in Paesi in cui è la prima causa di morte, mentre il primo messaggio papale – appena giunto nelle terre più miserabili, forte e chiaro - è stato sempre l’assoluto, perenne divieto di contraccezione, senza esclusioni, nemmeno per salvare la vita alle donne ….

Quante saranno le africane, convinte anche da questo messaggio, ora sottoterra?

Per carità, teniamoci sul leggero, anzi per pensare ad altro guardiamo i manifesti, che sembrano stendardi imperiali, col porpora e oro cesareo, lungo il percorso dei Fori appunto, il Colosseo, la Via sacra.
C’è scritto “Damose da fa’, semo romani !” e mi pare perfetta, un’icona doppia.

Icona del populismo del pontificato di Wojtyla , dell suo ammiccamento da poco prezzo.
Ricorda le lepidezze del prete che riunisce in canonica la domenica bambini e genitori : qualche calcio al pallone nel campo spelacchiato, qualche pacchetto di biscotti scaduti avanzati dalle calze che i bravi parrocchiani portano alla Befana.

Icona dell’idea di cultura della destra al potere, la destra de’ noantri, porchetta e becerume: la rappresentatività di un papato lungo un trentennio, condensata in una frase dal senso incerto, in compenso di sicuro la meno comprensibile da parte di uno straniero.
Però era quella in cui si faceva riferimento, anzi si ammiccava, a Roma .


Mi torna alla mente, come sempre e sempre più spesso, Flaiano: il più sulfureo e perfido cantore della volgarità della capitale, lui che fu sceneggiatore di Fellini, lui che abitò fra Montesacro e Ludovisi, lui che a trenta anni dalla morte rimane il più ironico, amaro, attuale.

Tornasse ad atterrare il suo "marziano a Roma"  … passerebbe anche stavolta dall’atterraggio al Pincio alla partecipazione a una giuria di artisti, a chiacchierare con Carlo Levi e Alberto Moravia, a essere ricevuto dal Papa, fra gli ultimi, il “signor Kunt, di Marte?"
Mino Maccari disegnerebbe e scriverebbe di lui : “O Roma o Marte!” ?

Certamente no, non esistendo più simili persone; forse andrebbe a “Porta a Porta” a dire la sua su Bin Laden e gli USA;  forse ammirerebbe il plastico della sua astronave.

Forse anche stavolta sarebbe “inchiodato sull’asfalto dal concerto di diavoli” che lo assalirebbe col suono fragoroso delle pernacchie, dopo aver gridato forte: “A marziano!...” ; forse, anche stavolta i fotografi a Ciampino gli direbbero; A marzià, te scansi…?

Certamente, anche stavolta, sarebbe ricevuto dal Sindaco in Campidoglio, che “…. si coprirebbe di ridicolo, parlando di Roma maestra di civiltà. Ci sono stati dei colpi di tosse, ma la gaffe era irreparabile.
Quando gli hanno offerto il diploma di cittadinanza onoraria, il marziano ha detto poche parole; ci aspettavamo maggior impegno da parte sua…..”

lunedì 2 maggio 2011

Matrimonio a Corte


In compagnia, pare, di 1 miliardo e 999.999.999 persone – come avranno fatto a contarle? – ho veduto il matrimonio del futuro re d’Inghilterra ieri l’altro, su quotidiani on line e tv, quasi tutto in differita, avendo impegni all’ora giusta, con mio grande rammarico.

E non è solo la considerevole compagnia avuta che me lo fa dichiarare.
E' l’incanto di una cerimonia perfetta e gentile, rassicurante pur nella massima pompa;  in quanto a questo non credo esista possibilità alcuna di inscenare spettacoli più scenografici di quelli che gli inglesi sanno rappresentare da secoli:  matrimoni, funerali, parate, col loro essere visionari e disciplinati, stravaganti e organizzati, perfetti nei modi e nei tempi.

Io sono anche fra quelli che, grati, ritengono che la Gran Bretagna ci abbia salvati dall'aggressione  dall' "Orco corso”, e anche in questo sono in buona compagnia: la sala da pranzo della "Apsley House", a Londra, che affaccia direttamente su Green Park, splendida residenza donata al Duca di Wellington dopo la vittoria a Waterloo, è colma di doni meravigliosi e preziosi offerti dai  numerosi e riconoscenti governanti europei, che avevano la mia stessa opinione.

Ritengo anche che - certo con buone alleanze - la Gran Bretagna ci abbia salvati pure dal nazismo e dal fascismo. A leggere ora i dispacci conservati, sempre a Londra, nell’ex gabinetto di guerra di Churchill di fronte il Parlamento, si  prova imbarazzo, dato che si parla di popolazioni liberate dall'oppressione fascista, non certo di popolazioni fasciste per un ventennio....ma questo, come la riflessione sull'attuale stato della nostra democrazia, porterebbe lontano.

Il matrimonio, dunque, perfetto e splendido spettacolo coloratissimo, con i rossi prevalenti, fra giacche da alta uniforme, palloncini di bambini, trombe e cavalieri.
Le folle erano enormi, strabocchevoli e ridenti, cosa c’è di meglio ?

Di meglio può esserci lo “street party” e infatti c'erano, in tutta la capitale, da Brick Lane, ex malfamatissimo quartiere multietnico, a Downing Street: tutti hanno mangiato in tavole apparecchiate, stavolta con colori patriottici, quello che tutti avevano  preparato e portato; e poi giochi per bambini, bevande alcooliche e non, bandierine, couscous e muffins assieme, sfidando, come persino il "Sole 24"ore ha ricordato, "il tempo incerto e il cinismo degli indifferenti".

Un modo allegro e civile di mostrare il loro community spirit,  un coinvolgimento generale, fra carrozze e landò, che solo una monarchia millenaria e il suo forte legame con i cittadini può evidentemente realizzare senza sfiorare il ridicolo.

Due cose mi hanno in particolare colpita:
la spontaneità di giovani che pur sotto lo sguardo di miliardi di occhi e il peso della regalità, innata o acquisita, conservavano la semplicità di quelli che potrebbero essere i nostri figli, nipoti, cugini : i due fratelli che chiacchierano scherzosi fra loro andando all’altare; i nubendi che si scambiano sorrisi e parole d’intesa quando qualunque protocollo matrimoniale, anche borghese, non solo quello reale, lo vieta …

E poi la meravigliosa, antica, eterna, innata eleganza che davvero sembra indistruttibile, lontana le mille miglia dallo sbracamento, dalla volgarità, dall’approssimazione, dall’ignoranza che ai nostri giorni, sotto le “nostre” latitudini, troppo bene conosciamo.

E ancora, percorrendo portati dalle telecamere la lunga navata dell’Abbazia di Westminster (su cui tante volte anch’io ho passeggiato, ma in solitudine e silenzio) e vedendo l’Arcivescovo incrociare altri recenti coniugi, Elton John e David Furnish, regolarmente sposati, come non pensare ad altri vescovi, altre situazioni?

Tradizione e modernità; allegria e disciplina; favola ed economia reale; Stato e famiglia...
Davvero, uno spettacolo rasserenante, pieno di fascino, incantevole!

venerdì 29 aprile 2011

Sono i giorni del risveglio, e del ritorno


Sono questi i giorni del risveglio, del grande, eterno ritorno: alla casa e alla vita.

Il ritorno della resurrezione di chi non muore, di chi si era addormentato, di chi era partito.

E ancora, è il risveglio di Gea la Terra, e dei germogli, del verde e del lilla, del viola, blu, giallo dei fiori, dei cespugli, dei rami.

E’ il risveglio del grano, morto nel gelo ruvido e nudo, e risorto, in acqua profumata di fiori d’arancio.

Sono le sensazioni, i profumi , gli odori e i ricordi onnipresenti in questi giorni, in cui il sole va e torna, e che l’Equinozio di Primavera e la Pasqua assieme, come e più di altri anni imperiosamente riportano, con la loro forza, attiva e tangibile quest’anno che sono accoppiati, più che altre volte.

Sempre la Pasqua mi ha evocato sensazioni pagane, primitive perché terrene, nel senso di legate alla terra quant’altre mai.

I profumi anzitutto, dell’erba appena tagliata, che solo un mese fa non c’era; delle prime ginestre, dei primi ciliegi e mandorli fioriti.
I rumori: dell’acqua dei ruscelli che precipitavano a valle nelle gole pietrose, delle grida degli uccelli tornati, delle rotaie che stridevano quando il piccolo treno trapassava il ponte fra le nuvole, sospeso sui canyons della Lucania.

A casa si tornava, a casa!
Era solo l’ultimo di tanti ritorni, eppure è,  per sempre, quello che dentro li ha tutti; che si specchiava nel ritorno delle colline ora verdi e dei cespugli solo adesso macchiati di bianco e di giallo; nel tuffo delle acque gelide, tornate a cadere dall’alto.

Stretti con i profumi dei fiori, in un abbraccio che mai si scioglie, sono ancora adesso gli aromi delle uova sode, della toma fresca, del salame, della dolce e materna ricotta che, a sorpresa, diventava licenziosa e piccante, tutta scheggiata di cioccolata amara ("… è amarissima!", ci lamentavamo per finta) nelle forme enormi a rettangolo.

La ricotta si ritrovava, stavolta frizzante perché unita alla menta e al sale, anche nel piccolo, elegante “fazzoletto” di pasta sfoglia ("....eh,questo è proprio solo per te!") che faceva capolino, presenza vezzosa e profumata di bosco, sul lunghissimo ripiano di legno, coperto come un altare da un lino bianco.

Sul ripiano coperto di bianco, in una multiforme compagnia, erano in attesa forme, profumi e sapori infiniti: avevano sembianze di pecorelle col naspro bianco, lucido come avorio;  di salati rettangoli d'oro brunito, grandi come scudi, o rotondi come anelli di giganti, bitorzoluti di uova rassodate e lucenti; di colombine appena atterrate, dal corpo ricoperto di schegge di zucchero multicolore....

Si, eravamo proprio tornati.






 
















giovedì 14 aprile 2011

San Michele aveva un gallo

Nella vita può accadere, per fortuna, che emozioni e bellezze indicibili tornino.
Per Fortuna, appunto; è lei, o il Caso, che permettono a una bottiglia già arrivata in passato dal mare, chissà come, addirittura di tornare!

Mi ritrovo, discutendo di libri e di lettura con amiche, chissà come a parlare in maniera appassionata di "San  Michele aveva un gallo",  vecchissimo film dei fratelli Taviani, che su di me aveva inciso come un punteruolo arrivato fino al midollo nella corteccia d'albero.
Mi lamentavo, come ho fatto molte volte negli anni, di averlo cercato come un tesoro smarrito, e di non averlo rivisto mai, nemmeno nelle personali dei registi, neppure in video, neanche in t.v.

Un'amica pronuncia per fortuna, la tipica, molesta frase: "...e che ci vuole?" aggiungendo:   "Hai rovistato  in internet? "  e si offre di farlo lei.
Dopo due giorni ricompare, sempre grazie al web con  un' email, in cui mi comunica che lo ha trovato, copiato e che se al nostro prossimo incontro porterò una "pennetta", potrò portarlo via con me.
L'ho rivisto ieri.

Proverò adesso a dire proprio quello "che non può dirsi".

Non certo la storia, forse conosciuta: un giovane rivoluzionario, figlio di agiati e noti possidenti, è a capo di un piccolo gruppo di ribelli, in in'Italia centrale non identificata, forse la Toscana, in un periodo non definito, certo prima dell'Unità. In una delle prime azioni il gruppo  viene con facilità estrema sconfitto dai gendarmi del Re, il rivoluzionario è condannato alla fucilazione, che verrà trasformata in carcere a vita.

Il film, dopo i primi trenta minuti, è già così concluso.

Il resto del racconto è tutto dentro la cella in cui il prigioniero sarà rinchiuso e dentro la sua testa, la sua inesausta fantasia, la sua incrollabile voglia di non lasciarsi andare e di rimanere, per sempre, quello che è : un capo rivoluzionario, amato, e anche contestato, dal suo gruppo, sempre presente.

Il prigioniero perciò si impone una ferrea disciplina: deve nutrirsi bene, non ammalarsi, deve convocare riunioni e decidere strategie, anche giustificarsi per la vendita di altrui proprietà, per "la causa" .
La cella deserta è così sempre affollata: di dialoghi, di scontri, di incontri con fantasmi.

Si intuisce il  passare delle stagioni dalla palandrana che il prigioniero indossa: sempre identica, ma calata sui fianchi d'estate, stretta attorno al corpo d'inverno.

Anche la minestra opaca che gli viene data ogni giorno è identica, come i  movimenti che gliela porgono : nella porta sempre sprangata si apre un piccolo sportello in basso,  facendo passare una mano, di cui mai si vede il corpo, che poggia sulla sabbia del terreno una ciotola, e un boccale d'acqua, sempre identici.

Il prigioniero però ogni giorno, e per dieci lunghi anni, berrà vini ricercati (del Reno, d'oltremare) e mangerà  cibi sempre diversi , leccornie da famiglia ricca,  raffinati,  di cui recita con cura ad alta voce le ricette.

Trascorso un decennio, dovrà essere trasferito in un altro carcere; per raggiungerlo dovrà traversare la laguna veneta.

Incontra così, su un'altra tartana dalla rossa vela latina, altri prigionieri politici; cerca di farsi riconoscere, di parlargli; discute con loro a distanza, sulla laguna deserta, di  azioni rivoluzionarie, di contadini, di terre...

I giovani prigionieri, c'è anche una donna fra loro che più degli altri lo detesta, gli dicono che in dieci anni tutto è mutato, che la sua è stata un'azione inutile, anzi dannosa, che ha solo ritardato la presa di coscienza degli operai: il vero motore, ora, della rivolta.

Il prigioniero ammutolisce, tenta di recuperare i fantasmi che hanno vissuto con lui, ignora i giovani, non li cercherà più, si stende per riposare.
Dopo qualche secondo, con uno scatto improvviso, si annega.

Qual é la fascinazione di questo racconto? Che contenga la vita, e naturalmente il suo contrario, la morte.

Che in un luogo vuoto di tutto, come la cella, ci siano ribellione, libertà e sperdimento, coraggio, miseria e  ingenuità, generosità, paura e  ricchezza,  scaltrezza, fiducia e passione, dolore e speranza, conflitto e pace, animalità e spiritualità.

Il prodigio che si realizza ogni volta, nel rievocare cibi meravigliosi, conosciuti e perduti, è struggente nella sua realistica illusione; i sapori e i profumi invadono l'ambiente con la loro assenza.

La ripetitività ossessiva, eterna, dei giorni e dei gesti, è ricca  di emozioni, conflitti, tensioni.
La vita non è quella visibile; le strade sono infinite, i percorsi pieni di fantasia,

E poi, naturalmente, c'é la sconfitta, la morte.

Il rivoluzionario, bimbo dai riccioli biondi , cantava piano la filastrocca "San Michele aveva un gallo", quando veniva per punizione rinchiuso in uno sgabuzzino della sua splendida villa padronale;  "San Michele aveva un gallo" sarà il potente coro  che si ascolta dopo la sua morte, lamento funebre sulle acque della laguna, lei si, grigia e immobile.

lunedì 28 febbraio 2011

Il cerchio del Tempo

Se il il dolore fisico più grande è quello di generare,  il dolore mentale più grande è certamente quello di sopravvivere a chi si è generato.

Pensavo in questi giorni che -  se esiste una graduatoria del dolore - c'è un più alto gradino della sofferenza che si può raggiungere: vedere il proprio figlio ammazzato davanti agli occhi, ma non in guerra o per strada, nel proprio tranquillo appartamento di una capitale europea in tempo di pace.

E, ancora più su nella sofferenza, è aspettare in compagnia degli assassini che il  figlio torni in quel tranquillo appartamento,  sapendo che l'attesa finirà con la sua morte.

Carla Zappelli, è accaduto a lei  trentuno anni fa.

Lo strazio e la barbarie di questo comportamento mi hanno stampato nella memoria il suo nome;  il figlio era Valerio Verbano, e quando fu ammazzato era il 1980 e avevamo entrambi una ventina di anni.

Nel corso del tempo e della mia vita successiva altri fatti mi sono sembrati il "punto di non ritorno" della umana barbarie: la strage di Srebenica del 1995 - ottomila morti,  un genocidio.

E,  dopo ancora,  la strage nella scuola di Beslan del 2004,  in cui grazie all'azione degli insorti ceceni e alla reazione russa centinaia di bambini morirono, dopo un assedio durato giorni.

Che esseri umani (umani?) possano concepire e realizzare azioni simili mi ha sempre fatto pensare che  non solo l'orrore non ha fine, ma pure che noialtri umani, che barbari non siamo e non saremo mai, mai più potremo essere come prima.

In questi giorni però è la barbarie "domestica" e tutta italiana che mi è tornata alla mente, e davvero il tempo sembra essere circolare, cristallizzato su quel divano in cui un ventenne come te chiedeva aiuto alla madre, che era lì con lui e non poteva darglielo.

Hanno trovato -  dopo trentuno anni  secondo i misteriosi percorsi dei tribunali - tracce inesplorate, che con metodi nuovi potranno portare a colpevoli, pare certi ....nuove certezze di cui non si capisce bene se basate anche su nuove delazioni  o nuovi magistrati  o nuove curiosità di magistrati vecchi.

Di eterno, uguale a se stessa, è questa madre, invecchiata ma uguale,e stupisce che possa essere viva, non annichilita, annullata, morta anche lei.

Carla Zappelli ha una voce sicura, un atteggiamento fermo e pacato.
Ripete il suo terribile racconto: dell'attesa di quelle ore di trentuno anni fa, di quando aspettava che il figlio tornasse a casa per morire, e di questi trentuno lunghissimi anni, dell'attesa incrollabile che qualcosa sarebbe accaduto, che nessuno di noi avrebbe dimenticato.

Intanto, dialoga con tutti quelli che vogliono rivolgerle un pensiero, un saluto, attraverso facebook, attraverso il suo blog (http://www.valerioverbano.it/) ; partecipa a inaugurazioni di circoli che portano il nome del figlio, a manifestazioni, a presentazioni di libri che ne parlano, ancora e ancora, e lei pure ha un pensiero, un saluto, un'attenzione precisa per tutti .

Sembra davvero che il tempo per lei non sia trascorso,e non perchè persa nel passato, ma perchè proiettata nel futuro.

E' diventata così  la tenacissima guardiana della memoria, della speranza, e del tempo, che davvero appare adesso come un enorme cerchio.

lunedì 14 febbraio 2011

In margine alla manifestazione di ieri (1, 2 e pure 3)

Prima riga del margine: "Chissà se le tante donne intelligenti  e libere che hanno trovato mille ragioni per disertare una manifestazione che non risultava loro sufficientemente femminile o femminista, si sono alla fine commosse nel vedere tante altre donne, più sbrigative e meno sofisticate, gridare insieme, senza divisioni  e distinzioni, il loro bisogno di dignità e cambiamento. Che poi la differenze è anche questa: le donne non berlusconiane sono in grado di scelte differenti, libere di agire secondo i loro principi in contrapposizione con altre anche se le divergenze sono capillari; nessuna delle signore berlusconiane, dai loro scranni di ministre, sottosegretari, rappresentanti di partito, osano esprimere non si dice un dissenso, ma un lievissimo, simpatico dubbio. Loro si,  pare, sono al servizio del maschio padrone"

Riporto parola per parola un pezzo dell'articolo di oggi su "Repubblica" di Natalia Aspesi che riguarda anche me, per rispondere : sì mi sono commossa!
Non ripeterò qui i motivi della mia assenza, che non toccano il "femminile-femminista", perchè ormai mi sono espressa e ogni assenza è "assenza a modo suo ", per parafrasare Madame Bovary. Però sì, almeno io mi sono commossa, eccome!

Seconda riga del margine: è vero, le signore berlusconiane sembrano proprio essere al servizio del maschio padrone. Richiede proprio  un esercizio di pazienza infinita leggere le dichiarazioni della Ministra (absit iniuria verbis!) Gelmini, la spargitrice di sale sulle rovine della Istruzione e dell'Università (la Ricerca la ignora) che ha cianciato di radical - chic spingitrici di manifestanti .....
Il primo istinto sarebbe quello di tirarle due schiaffi (ma come parli?).
Il secondo è quello di sorridere, perché chi spinge le spingitrici....? sembra di stare dentro la parodia di Corrado Guzzanti ( "...cosa spingeva i cavalieri a cercare, etc...? spingitori di cavalieri  e spingitori di spingitori.....").
Solo che Gelmini è vera, non finta come la giornalista Vulvia.

Terza riga del margine: Le donne promettono obiettivi ambiziosi, assicurano che non torneranno indietro, soprattutto che dopo una così straordinaria, spontanea prova di forza, niente, ma proprio niente sarà più come prima.

Ancora Aspesi, la chiusa dell'articolo. E questo pezzo riguarda l'opposizione.
Spero proprio che abbia ragione, ma forse non dovrebbe mancare molto per accorgersene.  

venerdì 11 febbraio 2011

Perché non prima?

Gran fermento sul 13 febbraio, ormai prossimo: fermento in "rete", fra le amiche, le conoscenti e pure le sconosciute: "vai? non vai? domenica, la manifestazione..."
Io covo - mai metafora fu più adatta -  un malumore e un dissenso che provo ad argomentare, anzitutto a me stessa

Hanno recuperato anche il "Se non ora, quando?" di Primo Levi per spingerci a uscire di casa; ci rimproverano, come leggo dalla petizione della manifestazione: " Chi vuole continuare a tacere, sostenere, giustificare, ridurre a vicende private il presente stato di cose, lo faccia assumendosene la pesante responsabilità, anche di fronte alla comunità internazionale. Noi chiediamo a tutte le donne, senza alcuna distinzione, di difendere il valore della loro, della nostra dignità e diciamo agli uomini: se non ora, quando? è il tempo di dimostrare amicizia verso le donne".

Insomma noi, il non bene identificato noi in cui mi inserisco anch'io, forse anche noi che gridavamo 30 anni fa  per strada "nè puttane nè madonne, solo donne" avendo quindi forse superato da 30 anni almeno l'attuale distinzione: "noi che lavoriamo, studiamo, etc...e loro, le  nipoti di Mubarak"...ebbene noi avremmo questa responsabilità  se non andiamo in piazza?

Noi che abbiamo pagato nella nostra vita - vita di relazione, di lavoro, di coppia  - le nostre scelte di indipendenza, di solidarietà, di fiducia in un futuro in cui tutte avremmo lavorato, avremmo avuto compagni alla pari, avremmo avuto figli, magari maschi da educare al rispetto, colleghe da sostenere e da cui essere sostenute, noi che mai abbiamo pensato che questa faticosissima costruzione fosse sufficiente a farci chiudere nel nostro privato?

E poi dovremmo chiedere "amicizia" agli uomini? e perchè, già che ci siamo, non gli chiediamo anche di ridurre gli omicidi contro le donne, di  darci le loro stesse retribuzioni per gli stessi compiti, e magari anche, scendendo molto nella scala delle pretese femminili, di portare fuori il sacchetto della pattumiera?

Quello che voglio dire è che questa politica delle emozioni è benvenuta se accompagnata da un'analisi corretta della realtà e da qualche ipotesi concreta e realistica, e mi trova entusiasticamente d'accordo, altrimenti non ci sto, non ci sarò domenica 13.

La piazza manda un messaggio, è questo il suo ruolo.
Questo  messaggio qual è? L'Italia non è un bordello, è fra quelli più frequenti .
Cioè non lo è ora ? E prima?  (e dopo, e sempre?)

Prima: perchè dovrei, dovremmo (noi) scendere in piazza adesso per i festini privati divenuti  pubblici del Presidente del Consiglio e siamo rimasti a casa sapendo di donne uscite da calendari e trasmissioni televisive semi-porno diventate nostre Ministre? Io mi sento molto più offesa nel vederle scendere da auto blu e proporre leggi che avranno influenza sulla vita di tutti noi, piuttosto che dalla lettura dei racconti di prostitute più o meno ufficiali.

Il comportamento notturno del Presidente del Consiglio ci colpisce  più di quanto ci abbia colpite, umiliate e offese  la quasi trentennale logica dell'osceno delle trasmissioni delle sue tv private? 
Più adesso di quando questa logica è divenuta, da almeno quindici anni, anche governo e potere su tutti noi?

E' evidente che è diventato un gioco di specchi: la sua visione del femminile si proietta nelle sue trasmissioni e le sue trasmissioni si proiettano nei suoi festini; purtroppo se questi ultimi erano privati, le sue tv le guardiamo da anni e ci hanno deformato, stravolto, offeso oltre ogni limite: è per questo che abbiamo taciuto?

Scendiamo in piazza perchè ci rappresenta?
Ma chi rappresenta le donne italiane è Clio Napolitano, una vecchia signora che ha lavorato, ha fatto personalmente politica, ha cresciuto figli, elegante e colta, discreta  e rugosa al naturale.

Per la  dignità del Paese?
E fare le corna, chiamare "kapò'" un deputato straniero, dire che le italiane sono  le più belle segretarie del mondo, fingere di sparare a una giornalista russa (!)  e si potrebbe continuare per pagine intere, sempre in consessi internazionali, esaltavano la dignità italica? Perchè ci siamo ammutoliti in tutti questi lunghi anni?

Adesso e sempre : è il sesso che colpisce? allora ha ragione Albanese con il  suo "pilu"?
....e l'aumento dell'età  pensionabile per le donne? e le dimissioni in bianco firmate dalle donne all'assunzione? e il boicottaggio alla diffusione della pillola RU486?

Volendo poi allargare proprio la visuale e ricordando alla rinfusa: ...: e la barbarie dei bimbi stranieri a cui è negata la mensa? e la "procedura penale ad uso e consumo" del Presidente del Consiglio? e le martellate al sistema di garanzia istituzionale del nostro Paese (Corte Costituzionale, magistratura...)?

Michela Murgia, la brava scrittrice di "Accabadora"  ha, secondo me, dettato l'epigrafe giusta : questo uomo non ci riguarda, non può condizionare le donne che siamo e anche quelle che vorremmo essere...

Ci ha condizionato invece - e molto -  in questi lunghi anni,  non però con le sue squallide fantasie sessuali realizzate nella sua triste corte notturna, ma con le sue terribili fantasie della vita -  economica, sociale, politica - realizzate dalla sua malefica, smisurata corte diurna, amplificate, reificate dalle sue televisioni, le sue pubblicità, i suoi corifei, ovunque  e sempre.

Per questo la manifestazione per me non ha senso e non ci sarò.

Avrà senso - e molto - il dopo-manifestazione.
Anzitutto per i nostri politici di riferimento, così muti nel contrastare, come sarebbe stato loro dovere, questa presunta modernizzazione, così tardivi nel ricordare la necessità di un'etica privata accanto a quella pubblica che invece hanno sempre sostenuto, così timidi nel dire che la libertà non è libertinaggio, che una casa aperta è diversa da un casino, senza timore di apparire codini, bacchettoni, noiosi, senza timore di perdere voti e consensi.

E naturalmente anche per noi, i noi e le noi di cui sopra:  nel lavoro, nelle case, nel recupero della politica quotidiana, della solidarietà, del rispetto e soprattutto della protesta, civile, ma più presente, lontana dalla rassegnazione, dalla  superficialità, dalla ondivaga emotività.

martedì 8 febbraio 2011

La vignetta che avrei voluto scrivere io (5)

Un maiale adulto, abbigliato con un completo maschile classico, incravattato, accarezza la testa del figlioletto maiale, anche lui elegantemente vestito e dice: "Abbiamo ritrovato il coraggio di dirlo forte: porco è bello!"

Questa è di Altan ed è un po' ovunque, essendo la pubblicità di una rivista culturale che giustamente, giustissimamente, l'ha riesumata.
Già, e questo è l'aspetto pù triste: credevate che fosse nata oggi, ieri al massimo? E invece è di un "Linus" del 1981..........l'Italia non era il simpatico "bordello al potere" attuale, mancava un decennio almeno a "ManiPulite", si era in epoca democristian-craxiana, ma i fulgori del craxismo pieno ancora non splendevano .....eppure...il porco di lotta e di governo già c'era.
Evidentemente, c'è sempre; c'è e basta.

La vignetta che avrei voluto scrivere io (4)

Su "Repubblica" di sabato 5 febbraio 2011.
Una proiezione in una sala cinematografica;  si vede il telo e la scritta: "Siamo spiacenti, la proiezione del futuro sarà ripresa il più presto possibile";  firmata Bucchi

giovedì 20 gennaio 2011

Nel Paese di Hellzapoppin


Vivo in un Paese assolato e infelice, un hellzapoppin permanente, solo più triste, più infelice, appunto.
Assolato, è oggettivo.
Che sia un hellzapoppin infelice pure, io credo.

Hellzapoppin è quel film  in cui si vede un musical ambientato all'inferno, in cui irrompono due attori che girano nel caos un film intitolato Hellzapoppin, e che lo abbandonano perchè caotico; da alcuni fotogrammi fissi del film , che si mettono in moto, si vede che gli attori stanno arrivando in una villa di campagna dove si sta provando uno spettacolo teatrale che deve andare in scena col titolo di Hellzapoppin...


Insomma, un film nel film, nel film, nel film: uno dei film della vita, e un gran caos, però allegro e divertente.
Quello del nostro Paese è invece triste e infelice.

Non può non esserlo un Paese in cui  un'intera classe politica è stata esautorata (non per sempre! niente è per sempre!) dalla magistratura per reati connessi a corruzione e concussione, in un passato ancora recente.

Non può non esserlo un Paese in cui  l'attuale Presidente del Consiglio (forse, molto forse) potrebbe oggi essere esautorato dalla magistratura, per reati connessi all'induzione della prostituzione di minori.

In questo Paese hellzapoppin infelice capitava anni fa, nella campagna antidivorzista, di essere informati che esisteva l'eventualità che la propria legittima moglie, ormai libera da qualunque inibizione, potesse fuggire con la colf .

Ed era necessario fermarsi a riflettere sul perchè moglie e colf dovessero fuggire insieme, non essendo tutti cattolici osservanti come il pio politico che metteva in guardia, nonché segretario del partito cattolico al potere: dunque non avendo sempre in mente, oltre al martirologio, anche il catalogo delle perversioni sessuali possibili.
E capitava di chiedersi se l'offesa era più pesante per le donne in genere, per le donne pure colf in particolare, per le lesbiche, forse per tutti i cittadini anche non donne, non colf, non lesbiche....

Capita oggi di leggere di fretta, sul web, che : "Ruby afferma: violata la Costituzione!" e di non stupirsi, se nella stessa riga è scritto che l'imputato si diverte e non andrà MAI  dai giudici  e che in casa propria è davvero scorretto essere indagati, reato o non reato!

Poi, leggendo con più attenzione, emergono due parole saltate: "Caso Ruby: Bersani afferma: violata la Costituzione!" Ma non c'era stupore, sarebbe stato possibile avere lezioni di etica  istituzionale  da una giovane prostituta straniera, se giovani prostitute italiane siedono in parlamento, in consigli regionali, su poltrone ministeriali e ci insegnano  e ci indicano cosa fare e non fare.

In questo Paese hellzapoppin infelice capita che un bel film, triste e grottesco, in cui si parla di un politico italiano rozzo, ignorante, amorale e perciò moderno, sia oltrepassato dalla realtà attuale, dalla quotidianità in cui tutti noi siamo immersi e dunque sembri già datato, di un tempo vicino, ma superato da rozzezza e immoralità ulteriori, maggiori, già viste, già conosciute.

Un Paese hellzapoppin grazie al quale alcuni giovani muoiono tra monti sperduti in missioni "di pace", mentre il "gabinetto di guerra" è convocato a Palazzo Chigi, ma è per la strategia da opporre alla magistratura persecutoria.

Un Paese hellzapoppin in cui un giovane su cinque non lavora e non studia; in cui una donna su due (una donna su due!) non cerca nemmeno un lavoro che non troverebbe, nonostante i salari di ingresso siano fra i più bassi in Europa e la flessibilità sia pagata solo da chi cerca un lavoro che non c'è.

Un Paese hellzapoppin in cui i governanti vedono come un'autentica fortuna, da sostenere e  minimizzare, quella di una bassa partecipazione al mercato del lavoro di donne e giovani:  non sia mai si presentassero tutti sul mercato, salirebbe subito il tasso di disoccupazione, che già così è  insopportabile, ma altrimenti apparirebbe del tutto fuori controllo...controllo di chi, in questo caos infelice, in cui il film da cui si vede la commedia da cui si vede il film è inverosimile e vero?

sabato 27 novembre 2010

Cronache dal traffico 2

Roma, stamattina, si esce per restituire libri in una biblioteca del centro, riprendere un oggetto dimenticato in casa di un'amica, un giro al mercato....tutti luoghi neanche troppo vicini, ma tutti lambiti dalla manifestazione della Cgil.

La manifestazione era nota da tempo, si suppone autorizzata .....

Le strade romane sono le stesse dalla fondazione della città, cioè da alcune migliaia di anni....

Esiste una società comunale di trasporti ....

Eppure, si poteva provare stamane sugli autobus l'ineffabile e rara, credo unica, sensazione di vivere su Marte, o in un mondo parallelo, oppure oltre lo specchio di Alice nel Paese delle Meraviglie.....a cui mancava però ogni grazia e armonia.

In tutto il centro (Piazza Venezia, Fori Imperiali, via Labicana, San Giovanni, via Nazionale...) i bus circolano, ma il loro numero non corrisponde ad alcun itinerario definito....
Si sale e si chiede al conducente quali variazioni sono previste, e la risposta è : "Non lo so"; se può fermare per far scendere e la risposta è : "Non lo so se c'è una fermata"; dove pensa di andare e la risposta è : "Non lo so"; solo alla domanda: "C'è qualcuno che lo sa"? risponde: "Qualcuno lo saprà!" (???) e viene scongiurato dai passeggeri di chiedere a un suo collega, che indossa un impermeabile della società dei trasporti ed è per strada, fermo a un incrocio: per questi due fragili motivi (l'impermeabile, non guida) immediatamente investito dai disperati "utenti" di un'ampia autorità

Il collega,interpellato dal nostro autista, risponde : "E che ne so 'ndo devi annà? Vai appresso a tutti ll'artri, da quarche parte girerai, senno' torni 'ndietro!"

Si ascoltano così sul bus discorsi surreali, da fine del mondo, da sequestro afghano, provenire dai telefonini degli sventurati che sono usciti e sono ora incolpevoli prigionieri del mezzo pubblico, solo uno dei tanti che formano un serpentone che si snoda nelle vie tormentate di questa città: "Sono dentro un autobus, si, ma non so dove va, non so dove posso andare io, non so dove arriverò e quando, certo non più stamattina ormai...no, non so davvero come tornare indietro, da dove, come......."

Però non eravamo su un bus afghano e nemmeno sul tour della fine del mondo, se mai ne è previsto uno, eravamo a Roma.

mercoledì 10 novembre 2010

ignoranza stupida-stupida ignoranza?

La domanda è: sono stupidi o ignoranti? Stupidi & ignoranti? e se si, più stupidi che ignoranti o più ignoranti che stupidi?
Basta, la stupidità, si sa, può essere contagiosa.
A cosa alludo, cosa mi ha stimolato questi profondi dubbi? Leggere sul quotidiano (ancora ci si informa, chissà perchè) che le politiche sociali riguardano "...la famiglia naturale basata sul matrimonio e orientata alla procreazione" dalla Conferenza nazionale della Famiglia, Sacconi ministro e Giovanardi sottosegretario dissero.
Quindi: niente alle famiglie non sposate con figli,(e niente agli sposati - pure in chiesa!- che figli non ne hanno).
Peccato! Non peccato in senso cattolico, sempre incombente peraltro.
Peccato che da 62 anni l'articolo 30 della Costituzione italiana equipari i figli naturali ai figli legittimi, così come pari sono doveri e obblighi dei loro genitori; peccato che il Codice civile stabilisca che i genitori debbano sostenere finanziariamente i propri figli, senza badare alla loro origine, che derivi essa dal sacro coniugio o da un'unione naturale. Solo cavoli e cicogne sono esclusi.
Insomma, doveri e diritti "nascono", è il caso di dirlo davvero, insieme con i figli, matrimonio o non matrimonio, e non esistono, grazie a Costituzione e Codice, famiglie più famiglie di altre.

Doveri e diritti; diritti e doveri.....stupidità e ignoranza; ignoranza e stupidità...è davvero, come il matrimonio, una questione di coppia.

venerdì 8 ottobre 2010

BABA'? BABBA'?

Il babà E' IL DOLCE ASSOLUTO, anzi, è il dolce assoluto, non ha bisogno di un maiuscolo urlato.
Anzi: il babà è.

Qualche parola di spiegazione, per quanto mi possa sembrare assurdo che sia necessario spiegare un'evidenza tale.

Ho un amore altrettanto assoluto per il babà, so farlo, e nel mio amore assoluto ammetto solo le forme "pure", fungo e tonda grande (ma NON la ciambella del savarin, che sta bene solo col domestico ciambellone) col foro al centro pieno di babà piccoli.
Basta.

La semplicità è il suo equilibrio, la sua delicatezza è la sua forza. Non ha bisogno di esibirsi, essendo perfetto. Sono sinceramente offesa quando lo vedo con crema o con panna!
E l'orrore delle ciliegie candite?! delle fragoline?! come si fa a rivestire l'eleganza assoluta in un modo così volgarmente pretenzioso?

Da napoletana "ad honorem" quale mi considero, ho una mappa aggiornatissima dei migliori pasticcieri napoletani (non esistono altre città), dalla collina ai "quartieri". Il babà mi accompagna da sempre e, quando ho dovuto fare un dolce che mi facesse fare "bella figura" la prima volta che ho incontrato i genitori del mio attuale marito, allestii una finzione con il babà al suo centro.

L'anziana mamma napoletana di una mia amica, che l'aveva appreso nella sua vecchia famiglia direttamente da un monsù (!) si offrì di farlo lei, "bagna" messa nel bottiglione compresa, che naturalmente portai a tavola così com'era a riprova della fattura casareccia del dolce.
Il babà era divino, la bagna pure, e i genitori furono conquistati; poi, nel corso degli anni, ho dovuto impararlo davvero, avendomelo richiesto spesso, e la considero un' abilità che mi spiace non poter inserire nel mio curriculum. Del resto, la mia prima password del p.c. è stata "babà" e mi sono sempre chiesta se la scrittura giusta napoletana non fosse invece "babbà".

Borges pubblicò un libro, fra i suoi ultimi credo poco noto,che io comprai 25 anni fa e che forse si ripubblica ancora, da Mondadori, che si chiama "Atlante".
E' un libro elegante e smilzo, con foto e, come scrive Borges stesso nel "Prologo" , "...(non sono) testi illustrati da foto o foto spiegate da un'epigrafe, ogni titolo comprende un'unità fatta d'immagini. Inizia scoprendo l'amaro, i sette colori dell'arcobaleno, le lettere dell'alfabeto..."

Insomma, a pagina 33 c'è la brioche, (altro mio amore) e Borges lì ricorda che i cinesi pensano che ogni cosa abbia il suo archetipo, e afferma che quella brioche, di cui lì si ha memoria in foto, "è l'Archetipo" della brioche.
Io credo che il babà sia l'Archetipo di se stesso.

Anche Alberto Savinio si può inserire e mescolare "dolcemente" a questa compagnia: nella "Nuova Enciclopedia", edito da Adelphi (un'altra delle letture "perenni" per me)alla voce "Dolce", pag.110, Savinio racconta di un incontro con un'amica, in una via di una città fredda e in un'ora tarda, elementi entrambi che invitavano a cercare conforto (Savinio scrive "gemutlich") in un luogo chiuso, che nell'offerta di Savinio alla gentile signora era una pasticceria.
La signora declina: "Non ho fame"... Savinio sente " soffiare nell'animo un fiato di morte".

Ricorda quindi la trista Dea Fames, la parola stessa è: "gonfia di lezzo e di tenebra", laddove i dolci sono da noi accettati solo se: " saziata è la fame, placata la necessità... siccome si ridesta la poesia, spento che è il dramma e la necessità. Dimenticato quel che (...) di cupo e mortale è nell'operazione di nutrirsi , ci riconcilia con la parte divina della vita e fa rifiorire in noi il riso(...) E dopo il dolce viene la frutta (...) . La poesia del dolce è troppo intellettuale, troppo cerebrale: onde sciolti da quella divina pazzia, torniamo per merito della gentilissima Pomona alla poesia più mite e tranquilla della terra".

La citazione è lunga, ma la "voce" dell'Enciclopedia lo è molto di più, e non sono sicura che i miei tagli rendano la "delizia" del pezzo, che consiglio vivamente.

Il mio senso di colpa, che sempre mi segue, mi costringe dopo questa lunga elegia a citare Napoleone: "Dal sublime al ridicolo non vi è che un passo" ....ma la tolleranza, che pure esercito, per fortuna anche verso di me, mi ricorda anche la frase di Heine: "Dal sublime al ridicolo non c'è che un passo! Ma poi la vita è così fatalmente seria che non la si sopporterebbe senza questa unione del patetico con il comico".

mercoledì 22 settembre 2010

La vignetta che avrei voluto scrivere io (3)

Mercoledi 22 settembre, di ElleKappa.
Due donne sedute, quella che legge il quotidiano informa l'altra: " Interessante test per la maggioranza" e l'altra: "Verifica il casalese che è in te".

ElleKappa, come sottolinea Altan (che la stima moltissimo ed è l'unica "collega" che citi) scrive "sull'oggi" e questo è prezioso, ma va spiegato, ahimé, dopo un po'.
Il riferimento è qui al pronunciamento della Camera dei Deputati sulla richiesta della magistratura di usare le intercettazioni a carico di Nicola Cosentino, emissario dei Casalesi presso le istituzioni patrie, e tuttora in Parlamento.

La Camera ha negato l'autorizzazione.

mercoledì 8 settembre 2010

Cronache dal traffico (1)

Inauguro oggi questo spazio di "cronache dal traffico" non per innestare inutili lamenti nè per informare di lavori in corso, ma perchè stare seduti nelle scatole di metallo e plastica che ci portano di qua e di là ha degli aspetti intriganti .

Sono convinta, per esempio, che l'aria condizionata, che ormai hanno pure le cilindrate minime, escluda da una gran quantità di contatti umani, forse interessanti.
Io ricordo sempre con nostalgia un "aggancio" con uno spiritoso motociclista, vestito in modo gradevole - nè da oppresso travet nè da easy rider fuori tempo - moto grande e robusta, che a ogni semaforo di una strada piena di interruzioni, in una mattina di un luglio infuocato, chiedeva con garbo se potevamo fare un po' di strada assieme, a me che lo affiancavo in auto, col finestrino aperto.
A un semaforo ulteriore educatamente si presentò, e al mio gesto di fastidio (era un nome che mi evocava cattivi ricordi) subito propose, spiritosamente, di cambiarlo....io ero divertita, pure lusingata, ma sempre troppo seria dissi che non era necessario, che mi ero da poco accasata..... con un buffo gesto di disperazione, il motociclista disse che allora dovevamo separarci per sempre....e svoltò alla prima curva.

Un' altra volta, pomeriggio sempre estivo, io guidavo e un' amica mi stava a fianco, finestrini spalancati per la calura, fummo corteggiate a distanza ravvicinata da un'auto con due operai, probabilmente edili, che avevano sul tetto della loro scassatissima auto una porta addirittura.
"Con una porta sul tetto addirittura! non mi pare il caso!" si lamentava la mia amica, e però ridevamo....insomma, dopo molti anni ho anch'io l'aria condizionata, ma non l'accendo quasi mai.

Stamane invece andando al lavoro affianco a un semaforo una berlina e sono attirata dal contrasto fra la guidatrice - una donna dal volto aggrondato che fissa il semaforo cupa - e il suo figlioletto, che le somiglia molto, ma è sereno - seduto dietro sul suo seggiolino che tracanna con attenzione latte da un biberon.

Dapprima mi fermo sull'idea che non sono più solo gli adulti che ingoiano colazioni al volo per strada, ma pure i piccoli adesso....poi sono attirata da un fiotto di liquido che la loro auto perde dal motore.
Subito mi agito, comincio a suonare il clacson (non troppo forte, disturberei invano tutti, dato che la signora con l'auto che "perde" non mi è vicina), poi muovo le mani, le braccia per attirare la sua attenzione. Inutile, lei non se ne accorge, ha i finestrini serrati e dopo un po' addirittura guarda dall'altra parte, il semaforo che non diventa verde sembra averla incupita ancor più.

Chi è attratto, anzi rapito da tutto questo mio movimento è il figliolino, che abbandona il biberon, e col latte che gli cola dal mento sorride entusiasta, poi si agita di rimando lui pure, al mio sbracciarmi sbraccia, saluta credendo che io lo saluti.

Scatta il verde, la signora addirittura svolta dalla parte a me opposta e la perdo definitivamente.

Guido e penso che ho ottenuto col minimo sforzo il peggiore risultato: non l'ho avvertita e il figlio ha smesso di mangiare, sporcandosi.
Però, onestamente, mi sono divertita un sacco!

La vignetta che avrei voluto scrivere io (2).

Di Altan, due uomini su due poltroncine, il primo intervista il secondo con un microfono e gli chiede: "Lei pensa prima di parlare?"; e l'altro: "Mai, sennò perdo il filo".

Altan di nome completo è Francesco Tullio Altan, ed è il figliolo di Carlo Tullio Altan, che fu antropologo allievo di Ernesto De Martino, che ha insegnato nelle Facoltà di Sociologia ( di Trento, di Firenze) e che è stato il maestro di tutti gli antropologi italiani nostri maestri.

Carlo insegnava l'antropologia come una scienza che studiava l'uomo e le sue "reti" sforzandosi di iniettare l'idea che fosse necessaria una religione civile nel nostro Paese.

L'iniezione" è sempre stata rivolta agli studenti, ma anche ai politici, a chi leggeva i suoi scritti, a chi ascoltava i suoi interventi.

Non so quanti sociologi (e politici!) Carlo Tullio Altan abbia istruito e formato in questo senso; so per certo che il sociologo migliore che abbiamo in Italia, il più bravo, il più acuto, è lui, Francesco Tullio Altan.

sabato 3 luglio 2010

MEDITERRANEO

Apprendo dai giornali che il Ministro dell'Economia Tremonti definisce "cialtroni" i presidenti delle Regioni meridionali, incapaci di spendere i finanziamenti europei, eccetera...

Come un riflesso condizionato, una balestra, un elastico del mio (per altro molto provato di recente) cervello, spuntano due percorsi mentali.

Il primo ricorda che alcune Regioni, come la mia "virtuosa" Basilicata, e pure la Puglia, hanno speso - e bene - le loro risorse, e che il meridione ha le altre sue Regioni, guarda caso, governate da (eventuali) cialtroni di destra...

Questo "tracciato" razionale è travolto e superato dall'altro pensiero, nato su una notizia che pure avevo appreso dai giornali, ma il giorno precedente, e che già aveva sedimentato, si era ambientata, e molto bene, nelle mie fantasie.

In Sicilia, a Palermo e a Catania, sono arrivate le Biennali d'arte di Istanbul, Atene e Marrakech.

E' un progetto del Museo di Arte Contemporanea della Sicilia, tale RISO, e chissà cosa vorrà dire il fantasioso acronimo. Ci sono installazioni, concerti, opere in mostra, video-arte.
I nomi sono quelli di Nevig Aladag, di Abdellah Kanoum, ma anche di Isaac Julien, Seamus Farrel, che vengono di certo dall'Anglosaxonia, ovunque sia, e di Sofia Aguiar e Patricia Esquivias, che invece arrivano da un altro Sud del mondo.

Il Progetto infatti si chiama "Others", in inglese ahimé (come si dirà in greco, turco, marocchino? in lucano e siciliano lo so) e avevo pensato, leggendo, che "siamo tutti figli di Annibale", un pensiero che sempre più si affaccia, e che sempre finora avevo rifiutato, respinto: come una chiusura, come un ritorno, come una sconfitta.

Finora non sono arrivata ancora a unirmi al lamento di chi evoca i Borbone, (ma la conquista, l'annessione del Mezzogiorno andrebbe riscritta, nei nostri libri di scuola) e sono stata -sempre finora - convinta che bisognasse guardare avanti, andare avanti, crescere e soprattutto includere....

Anche questo io addebito, fra milioni di altre cose, a questa Destra che da troppi anni ci governa: che questo pensiero invece ora torni, che sia prevalente, l'unico possibile, perchè l'identità della figliolanza da Annibale è troppo forte e troppo bella, troppo ricca e troppo allegra, troppo colta e troppo solare, troppo libera e troppo accogliente, e finisce per restringere, per rinchiudere nella salvezza possibile e conosciuta.