venerdì 9 gennaio 2009

La favola (di una parte) della vita

STORIA DI ANIMALETTE E PIFFERAI CHE NAVIGARONO SUL FIUME

OVVERO

COME DARE UN FEEDBACK BEN FORMATO.


C’era una volta ( e c’è ancora ) un Paese pieno di montagne alte e di colline dolci, verdi e gialle, e anche di laghi e di fiumi.

"Proprio come da noi ! ", direte voi. Infatti avete ragione, tranne che per l'esistenza di un particolare fiume, davvero speciale, che è un po' il protagonista della nostra storia.

Questo Paese era popolato da molti animali, di differenti specie. Gli animali nascevano, vivevano, a volte avevano figli, morivano." Proprio come da noi!", continuerete a dire voi.
Ebbene, non proprio, in queste poche cose dette fin qui, vi accorgerete poi, è già enunciata la differenza-che-fa-la-differenza.

Perciò, un po' di pazienza.

Il fiume che prima abbiamo ricordato era davvero singolare: pensate che univa le sponde di due terre vicine eppure diversissime, come il tramonto e la notte, come il giallo e il beige, come l'agro e l'amaro.

Infatti, da una parte gli animali, più numerosi, lavoravano e non lavoravano, comunicavano e non comunicavano, erano felici e anche infelici, creativi e non creativi, di successo e non di successo, eccellenti e non eccellenti.

L'altra sponda invece era la terra in cui gli animali lavoravano, ma erano solo lavoratori felici, creativi, comunicativi, di gran successo e, naturalmente, eccellenti!

Passare dall'altra parte del fiume sarebbe piaciuto a tutti gli animali della prima sponda - chiamiamola così - ma non era facile, anzi, a dirla tutta, nessuno aveva idea di come si facesse. All'improvviso si spargeva la voce che un coccodrillo, un elefante, più spesso dei leoni erano passati a vivere dall'altra parte, persino delle oche a volte, ma nessuno sapeva con precisione quale percorso avessero seguito, se ci fosse un'unica direzione. Le femmine degli animali, poi!

Non che non fossero bestie anche loro, no, questo no!
Però, vuoi perché più deboli, vuoi perché allevate con precisione a non saper nuotare, vuoi perché abituate da sempre ad andare in giro avendo sulle spalle la casa, i figli e anche tutti gli altri parenti e i rapporti sociali, la tradizione familiare, la fantasia , la velocità e l'accuratezza, l'emotività e la razionalità, la sapienza e la curiosità, il culto dei morti e la cura dei vivi, la sensualità e il pudore , l'intelligenza e la frivolezza e anche altre cose che adesso non ricordiamo perché lo spazio non basterebbe, ebbene, voi capite che quando le poverette si arrischiavano a guadare il fiume da sole con le loro forze, tutta questa zavorra , prima o poi, le faceva annegare!

Non è che non passasse proprio mai nessuna: abbiamo già detto delle oche ( e molti affermavano maliziosamente di conoscere il percorso seguito, ma nessuno l'aveva davvero mai visto ); a volte non tornavano più le volpi, le tigri, le iene, ma per loro, si mormorava, era una tradizione di famiglia, era più facile e poi, forse, erano un po' meno femmine delle altre, diciamo la verità!

La vita sarebbe continuata così (" Proprio come da noi!", mi par di sentire ) se un giorno non fossero passati, in quella che abbiamo chiamata prima sponda, dei banditori.

Di banditori se n'erano visti altri, anzi pare non si vedesse altro, da un po' di anni: tutti a magnificare la bellezza, la dolcezza, l'importanza di vivere sull'altra sponda, e quello che gli animali là facevano.

Cosa dicevano dunque di particolare, di diverso, questi giunti per ultimi?
Dicevano che non solo la vita dall'altra parte era una cosa meravigliosa, ma anche che c'era chi conosceva il percorso per arrivarci, e anzi questo percorso, potenzialmente, tutti lo conoscevano già, solo che non lo sapevano!

E c'era chi, sapendolo, era disposto ad insegnarlo a chi pur sapendolo più di chiunque altro e cioè, udite udite, le femmine degli animali, non sapeva di saperlo! E lo avrebbe fatto per loro e solo per loro! Gratuitamente!
Anzi, sarebbero state loro, ad essere retribuite!

Le femmine degli animali erano davvero frastornate: retribuite per conoscere qualcosa che già conoscevano , ma non lo sapevano? Figuratevi quando fu detto loro che la risposta alle domande la conoscevano già, ed era pure quella giusta!

Perciò parlarono un po' tra loro e molto dentro di loro, come dall'inizio dei tempi erano abituate a fare, e cosi' dicevano: "…dovrò o no fare l'uovo?
Potrò cantare con la mia bella voce? Mi faranno volare o mi terranno in gabbia?
Il latte, dove lo metterò? Il marsupio, dovrò tenerlo aperto o chiuso?"
Ma, un po’ per quella faccenda della risposta che gli era stato detto avevano dentro, un po' perché i maschi dicevano che stavano facendo troppo chiasso, e molto perché abituate a non stupirsi in realtà di nulla, decisero di buttarsi in quell'avventura; decisero cioè di buttarsi nel fiume.

Arrivò così il giorno in cui le femmine degli animali ( d'ora in poi femmine e basta ) furono radunate sulla famosa riva.

Videro che il mezzo che sarebbe stato usato era la barca, anzi le barche, per la precisione tre barche tutte uguali: belle nuove, bianche, luminose.

Non troppo comode…, osservò qualcuna, subito rimbrottata dalle altre: si sa, la ricchezza la troveremo dall'altra parte, è anche per questo che passiamo il fiume !

Non ci stavano mica tutte sulle barche, però. Bisognava al massimo essere cinquanta su ognuna, grasse comprese!

Sarebbe stato necessario sottoporsi a delle selezioni.

Le femmine, abituate da sempre a tutte le prove, erano tranquille e curiose: vedrai che dovremo saltare!…no, covare!… no, tèssere!…no, ballare!…no, immaginare!…no, sognare!…no, ridere!


Furono invece coinvolte, con grande stupore di quelle che avevano creduto che non si sarebbe misurata l'intelligenza cognitiva - cioè tutte - in complessi e misteriosi riti, di cui nulla avrebbero saputo mai, né durante, né dopo.


E così senza chiedersi troppo, fiduciose, le femmine prescelte si ritrovarono ancora sulla riva da cui partire, ed era bello vederle, tutte colorate, ridanciane e chiacchierone, con le loro valigette multicolori, le penne comprate per l'occasione (soprattutto dalle bestiole pelose e non piumate ), con i trilli acuti e i dolci squittii che si mescolavano agli eleganti ruggiti e i barriti di chi, per non spaventare subito le altre, aveva appena fatto una cascata di gargarismi.


(Ci fu anche qualcuna che pensò che quella riunione sembrava un incrocio fra la partenza del Titanic e l'incontro delle novizie con la Madre Superiora.
Quello che poi avrebbe appreso chiamarsi "dialogo interno" le suggerì però subito che era la solita perfida e che sarebbe di sicuro morta in solitudine. Così non ne parlò mai con nessuna.)

Subito le femmine si videro attaccare al collo un nastro con un cartello piccino su cui dovettero scrivere il proprio nome, e furono felici, eterne cucciole infantili ( anche le belve! ) di poter usare subito le penne e le piume multicolori.

Pensate quale fu il loro stupore nell'apprendere che sarebbero state chiamate tutte col nome di un'altra bestiola, morta scorticata e scuoiata centinaia e centinaia di anni prima!

Erano stupite si, ma pur sempre bestie beneducate; così, per mostrare il meno possibile lo sconcerto, si misero a guardare intorno.

La riva era quella che conoscevano da sempre, anche se mai l'avevano vista popolata da femmine di tante specie diverse, tutte assieme.

Le barche dovevano partire, e le bestie, all'apice della curiosità, si chiedevano chi le avrebbe condotte, e soprattutto, curiosità delle curiosità: come ?

Ebbene, non sapevano che una serie di sorprese le attendevano.

Innanzi tutto, furono suddivise in tre gruppi, tutti diversi tra loro, come il giorno lo è dalla notte, e l'alto dal basso e l'ignoranza dalla sapienza.

Sulla prima barca, senza poter dire o fare nulla, furono fatte salire quasi tutte le bestioline più giovani, quelle che quasi ancora non avevano abbandonato il dolce tepore dell'abbraccio materno, ancora non del tutto piumate o impellicciate, ancora non salde sulle zampe.
Quelle che, soprattutto, mai avevano visto il temibile cacciatore, né mai pensato che sul loro sentiero potesse scattare l'orrida tagliola, né erano state minacciate dagli altri animali sopra di loro nella catena alimentare.

Anzi neanche sapevano cosa fosse.

Quelle che mai si erano mosse dalle macchie e le radure e i villaggi in cui erano nate, quelle che avrebbero voluto andare a caccia e procurare il cibo a sé e alla famiglia, come avevano visto fare ai genitori, ma…ancora mai l'avevano fatto.

Sulla seconda barca furono destinate invece le specie più diverse di femmine di animali che mai si fossero incontrate.

Diverse per età - ce n'erano di ogni tipo - per attività, per abilità: c'erano le lunghe tigri, le eleganti gazzelle, le veloci aspidi, le sagge elefantesse, le sapienti civette, le coraggiose leonesse, le attivissime cagnette, le esigenti pantere, le laboriose scoiattole, le ingegnose api e molte e molte altre specie che non saprei dirvi.

Diverse erano le specie, ma molte erano le cose che le univano.

Alcune di loro comandavano il gruppo da cui provenivano, o perché avevano eliminato il maschio dominante, continuando poi benissimo, o perché, pur mantenendolo in rispetto alla tradizione che vige tra le bestie, lo avevano ben fissato su un trono da cui lo muovevano solo per le festività e le rappresentazioni.

Altre, quando erano ancora cucciole, avevano partecipato alle manifestazioni contro le terribili termiti, mordendo e ferendo altri animali, perdendo sangue, conservando le cicatrici profonde delle lotte sostenute.

Altre ancora avevano traversato enormi e infidi territori, spesso con un piccolo attaccato, e avevano trovato cibo e cresciuto la prole.

Ormai anche le più giovani avevano un albero col nido tutto per sé, una grotta tutta per sé, un cespuglio tutto per sé . Tutte, pur lavorando molto, riuscivano a leggere non solo "Lo strillo della foresta", ma anche “Le affinità elettive”, a scrivere poesie e commedie, a viaggiare, a pensare.

Abituate come erano a considerarsi "primebestie", arrivando da luoghi in cui il riconoscimento animalesco a loro tributato era solido e diffuso, si stupirono di trovarsi assieme, ma sentirono che una logica c'era.

Sulla terza barca furono fatte salire le bestie rimanenti.

Pur essendo anche qui le specie diverse tra loro, tuttavia curiosamente si trovarono assieme tutte animalette domestiche: vezzose gattine col collarino rosa e il campanellino dorato, barboncine col paltoncino e il ciuffo in testa, passerotte e cardelline sempre tenute in linde gabbiette, abituate a cantare a orari fissi; chiocce rotonde che mai erano uscite dal pollaio e mai avevano svolto una attività diversa dalla cova, che ogni minuto pensavano intensamente al gallo, militare e marito, che, impettito, certo corteggiava le galline rimaste, mio Dio!

Si intravvedeva anche qualche pappagallina, cocorita colorata vestita ormai sempre con tailleurs grigiofumo, portata solitamente a spasso dal padrone con una cordicella e liberata per l'occasione; qualche biscia d'acqua, minacciosa quanto innocua; parecchie mosche cocchiere, che blateravano come al solito e che, come al solito, nessuno ascoltava.

Finalmente, sia come sia, le bestie furono tutte sistemate e pronte a partire, eccitate e curiose: finalmente avrebbero saputo come avrebbero fatto quello strano, importante viaggio e chi le avrebbe condotte.

Immaginatevi dunque il loro stupore quando videro che gli stessi banditori erano i barcaioli !
In realtà, essi avevano mutato le loro vesti e avevano indossato dei bellissimi costumi da musicanti ; in mano avevano un piffero per ciascuno: "…sarà con questo che vi guideremo", dissero alle femmine e furono le ultime parole che queste udirono intellegibili. Subito dopo le barche salparono e le bestie furono immediatamente avvolte da una tempesta di suoni, che proveniva dai pifferi e che durava tutto il giorno e le lasciava senza lucidità, senza pensieri, senza sapere e senza saperi.

"…bene, benissimo, è proprio ciò che deve accadere", riuscivano a malapena a comprendere da quello che i pifferai dicevano.

Tutto il resto era una serie di suoni conosciuti, di fraseggi noti, di andanti con brio già percorsi: lo stordimento proveniva dal fatto che erano cuciti insieme con fili diversi, orchestrati su basi nuove e curiose, le note salivano e scendevano sul pentagramma fino a lasciare le bestie confuse, irritate, poi senza difese, felici di trovarsi in uno sperdimento assoluto, di non sapere nulla e di sapere tutto.

Le bestie non capivano e non sapevano come quella musica potesse avere tante variazioni su un unico tema, e anche tanti temi diversi, da dove provenisse, chi l'avesse composta e quando.

Sapevano però che in quelle barche il fango poteva essere tramutato in oro, bastava volerlo, che i confini del mondo sono i confini del mio linguaggio, che le risposte sono tutte dentro di noi, e tutte giuste.

E quando le risposte non lo erano, o non c'erano, c'era il cioccolato, che, come l'acqua, scorreva dappertutto, rendendo le barche un luogo di delizie migliore dei giardini dei sultani d'Oriente.
Passarono giorni e settimane e mesi: la navigazione continuava e le barche erano trascinate sulla corrente, seguendo una rotta precisa, con la sola forza del suono dei pifferi magici.

Il tempo passava e nelle barche le femmine si erano osservate per bene, si erano studiate e annusate per riconoscersi.

Cambiavano spesso la livrea e la corazza, le scaglie e persino le code, ma ormai, prigioniere della malìa musicale, si sentivano compagne per sempre.

Anche il loro rapimento sulle ali della musica, pur sempre coinvolgente, era meno sordo e cieco: avevano dapprima provato qualche accordo, da sole e spinte dai pifferai, con timidezza e con timore; poi, sempre più incoraggiate, si erano cimentate in assoli via via più lunghi, in duetti movimentati, in concerti, più o meno accordati.

Doveva essere davvero uno spettacolo, mai udito e mai visto da orecchi e occhi umani, quello di tre barche in fila indiana, su un lungo e agitato fiume, da cui proveniva una sinfonia di trilli, belati, ruggiti, uggiolii, canti, stridii e altri suoni mai avvertiti insieme!
Per fortuna, non si vedevano umani all'orizzonte.

Il tempo passava, e le femmine della seconda barca si dimostravano di gran lunga le più irrequiete e indisciplinate.

Se qualcuno gliel'avesse fatto notare, però, avrebbero risposto in coro: flessibili, semmai! Creative! Elastiche! Propositive! Fantasiose! Vive!

Infatti, saltavano da una barca all'altra con gran disinvoltura e senso pratico: non solo le cinciallegre e le aquilotte, le pettirosse e le rondini, no, anche le furette e le koala, che erano femmine dalle abitudini strane: prima di allora chi mai le aveva frequentate?
Le puledre a volte scendevano addirittura a riva, se era necessario limare uno zoccolo, insieme con le scimmie, che saggiamente si rifornivano di noci e nocciole e anche di biscotti savoiardi e cioccolato ( flessibilità!) per tutte.

Quando passavano vicino a un ufficio col telegrafo si precipitavano quasi in massa per inviare telegrammi, chiedere degli ultimi drammi presentati a teatro, salutare più animali possibile, informarsi di cosa era avvenuto sulle due sponde.

La seconda barca spesso era semivuota e le altre no .

E la altre no! E le altre noo! E le altre nooo!

Ormai, il suono che proveniva dai pifferi era quasi una nenia.

Le bestie giudicate INDISCIPLINATE e che si vedevano, (si sentivano, si percepivano ) come era giusto essere (giusto per chi? Per tutti. Tutti tutti? Si, tutti tutti ) erano sempre più stupite.
"…questa è una barca da cui si fugge! E' una barca dove qualcuna è morta! E' la barca dove fatichiamo di più!…” modulavano, stridendo, i pifferai.
Le bestie erano sempre più esterrefatte e incredule.

Nessuna era fuggita ma semplicemente, allegramente, molte, esperte di volo, di salto, di balzo, avevano volato, saltato, balzato, come gli stessi pifferai avevano raccomandato di fare. E allora?
Qualcuna era morta, è vero, ma era la vita, quella, non un’esperienza guidata!
Si faticava, e allora? Era un viaggio, non un pranzo di gala!

Ciò che più addolorava le bestie era che la musica più non fosse quella sinfonia curiosa, forte e allegra, coinvolgente e viva, quella rara magia che aveva trascinato le imbarcazioni fino ad allora, vincendo ogni alga, ogni tronco, ogni rapida del fiume.

La riva ormai non poteva essere lontana, anche se, più che vederla, la si immaginava, soprattutto per i tanti racconti fatti al buio, la notte, quando ci si stringeva le une alle altre, pelliccia contro piuma, e un po' si raccontava e un po' si sognava.

Le animalette pensarono e ripensarono e ripensarono e ripensarono.

Sentirono e vissero, dentro di loro, tutte le sensazioni , come era stato loro insegnato, e come già tante volte avevano sperimentato.
Videro tutto quello che c’era da vedere.
Ascoltarono tutto quello che c’era da ascoltare.
Si fermarono. Soprattutto quelle che, più delle altre, avevano volato, saltato, balzato, si fermarono.

Non erano veramente certe che fosse un’abilità particolare che qualcuno gli avesse insegnato, forse avrebbero saputo farlo anche prima. Pensavano, in ogni caso, che era giusto così. E si fermarono.

Si accorsero che erano tutte molto cresciute, tutte più alte e più forti, con le pellicce più lucenti, i peli più folti, le ali più lunghe.

Si accorsero che riuscivano tutte a guardare più lontano, le foreste al di là delle rive e anche la piccola foglia caduta al suolo nel folto delle stesse foreste.

Si accorsero che riuscivano tutte a sentire i suoni della vita al di là dal fiume, e anche le note di questi suoni.
Si accorsero che riuscivano tutte ad avvertire, dentro di sé, i sentieri del loro sangue e anche di tutti i liquidi e gli umori che le percorrevano, in ogni momento della giornata e della notte.

E si accorsero anche che i pifferai erano esausti e invecchiati, con i capelli incanutiti, i volti segnati dalle veglie e bruciati dal sole.
I loro gesti erano più lenti, lo sguardo più spento, il fiato più corto, e con sempre maggiori difficoltà riuscivano a strappare ai pifferi le melodie che tanto avevano incantato le bestie in passato.

E si accorsero anche che i pifferi erano consumati, scoloriti dalla continua esposizione alla luce, sgangherati dal perpetuo uso, mancanti di molti pezzi, persino, triste davvero a dirlo, un po’ stonati.

Che fare, dunque?
Nacquero lunghi conciliaboli, arene segrete di desideri e obiettivi, identità e aspettative…
Come eleganti volteggi di fioretto si incrociavano suggerimenti e giudizi, lamenti e speranze.

Era in realtà una gran danza di sentimenti e, si sa, le donne in questo sono le maestre e le padrone.

Qualcuna diceva che il viaggio non poteva durare, che nulla avevano appreso che potesse servire per trovare i ricchi armatori o i sovrani di Spagna, vagheggiati talvolta, futuri finanziatori di viaggi più lunghi, condotti da bestie ormai esperte…

Qualcuna affermava che il fiume poteva essere superato a nuoto, non servivano barche; qualcun'altra soffiava che la rotta poteva essere diversa e che stavano costeggiando inutilmente; un’altra ancora che no, la rotta era personale, ognuna poteva farla da sé.

E poi si parlava di cosa fare dei pifferai esausti: chi diceva di buttarli via; chi proponeva di fare come se non fossero mai esistiti; chi di farli dormire per cento e cento anni; chi offriva di preparargli impiastri di sambuco, per curare l'umore, decotti di malva per sanare la gola e distillati di valeriana, oppio, papavero e certi funghi di sua conoscenza, per fargli vedere, sentire, percepire cose che mai avevano visto, sentito, percepito.

C'erano anche quelle che si tappavano le orecchie per non ascoltare proposte sacrileghe, che le lasciavano ancor più incerte e abbandonate.

"No!" saltò su qualcuna nel mezzo di quella danza, " … non è possibile, non è giusto, non dobbiamo!"

( Totalizzò così una quantità di infrazioni, contemporaneamente, al Sacro Modello e alle Tavole della Legge che le sarebbe bastata per quella e anche per altre vite; tuttavia, pensò, ne sono consapevole) .

"No!" ripeté, e aggiunse: "vogliamo forse essere come quel capitano del galeone spagnolo San Dominick, che finì prigioniero di se stesso?

Come i servitori del Barone di Munchausen, prigionieri delle loro convinzioni limitanti ( siamo troppo vecchi, troppo sordi, troppo lenti ) e perciò anche loro segregati da se stessi, nel ventre del mostro marino?

Per non parlare di Geppetto, che aveva arredato la pancia della balena, in attesa di morirvi !”
E poiché si avvide che tutte costruivano immagini, con queste figure di carta che mai erano esistite, la bestiola che parlava ne approfittò per continuare: “erano tutti inetti, inconsapevoli, e tutti maschi!

Noi invece siamo tutte bestie femmine! Abbiamo di sicuro la competenza consapevole, ormai, ma certamente avremo serbato la competenza inconsapevole!

Abbiamo già suonato, possiamo rifarlo ancora, provando nuovi accordi.

Chi di noi sa usare le zampe con maggiore abilità, potrà provare a riparare i pezzi mancanti dei pifferi.
Oppure potremo dipingerli, con i colori che sappiamo catturare da sempre, quando i raggi del sole escono più forti e possono essere usati come matite colorate.

E poi, abbiamo imparato a suonare, sappiamo dipingere, ma avete forse dimenticato che siamo le più abili nel tèssere lunghe trame il cui ordito ci è ignoto?
nel costruire enormi castelli di sabbia appena bagnata?
nell'incrociare mari interi di parole di lingue sconosciute, con persone sconosciute?
nell'usare al millesimo il tempo, spianato e stirato meglio di un merletto fiammingo?
nel cucire le reti infinite di cui non vedremo mai i limiti, di cui mai comprenderemo appieno le utilità, e di cui l'unica cosa che sappiamo è che ci danno piacere?

Avete dimenticato che siamo le più abili nello scorrere i tarocchi? E le carte dicono che non saranno volgari indigeni, ma l'Imperatore della Cina a sovvenzionare il nostro viaggio!"

La bestiola era salita su una specie di cassero e con voce suadente così si rivolgeva alle altre, e siccome era assertiva e non aggressiva, come le avevano insegnato, tutte la ascoltavano con attenzione, e in ognuna c'era un’eco che risuonava.

Così, incoraggiata, continuò.

"Dovremo ( si, dovremo ) anche ricordare che siamo le più abili nello sciogliere le perle preziose nell'aceto; le più abili nel raccogliere tutte le lacrime del mondo in schiere infinite di ampolle, senza mai averne abbastanza; le più abili nel produrre oraferie di valore inestimabile e per le quali mai chiederemmo una mercede; nell'acchiappare le nuvole, cosa difficilissima, e nell'infilarle in misteriosi barattoli, cosa difficile quant'altre mai, e nel non parlarne mai con nessuno.

Ebbene, se è vero che siamo le più abili, potremo anche provare a fare la danza dello squash, a far volare cappelli, a proiettare lo swish, a cantare lo sleight of mouth, a indossare il metamodello... sicuramente ci riusciremo!

Non elimineremo, non butteremo, non abbandoneremo nulla: rallenteremo,estrapoleremo e modelleremo, per incorporare; e poi saliremo i gradini dei livelli, fino ad arrivare là dove tutti gli obiettivi confluiscono, e tutti sono positivi.

Solo così vinceremo tutte ( e tutti )! Solo così potremo creare un mondo a cui tutti vorranno appartenere!”

La bestiola che così aveva parlato pensò che come comunicazione poteva bastare; aggiunse solo, come conclusione, il suggerimento che più amava e che aveva sentito tra le note dei pifferai:
il gioco del delfino che ha un pesciolino in premio è: cambiare gioco!

E la regola? cambiare le regole!


La bestiola si sedette e tacque; cominciò così il suo dialogo interno e si chiese se era stata più in grado di fare o di essere. Si chiese pure, essendo breve la distanza tra la concettualizzazione e l’illuminazione, quale fosse la distanza tra l’illuminazione e la scempiaggine.


Sia come sia, le animalette si convinsero, pare; le barche ripresero così la navigazione, in ordine sparso e con musiche diverse.

Dove andavano? Chi suonava? Furono riparati i pifferi? I pifferai riuscirono a modulare ancora nuovi suoni meravigliosi, sempre diversi? Le bestiole fecero qualcosa - o in parte, o tutto ciò - che colei che aveva parlato le aveva invitate a fare ( e saper fare e saper essere )? Arrivarono sull’altra sponda?

Posso solo dire con certezza che il viaggio ancora non è terminato; alle altre domande, devo confessare, non so rispondere.
Gc