martedì 31 ottobre 2017

Tibet, Giappone, Iran...meglio la cantina


    





Da oggi, 31 ottobre,  Roma è  più misera ancora,  sempre più poveramente rinchiusa nel perimetro  dei suoi piccoli colli: chiude  il suo  Museo Nazionale d'Arte Orientale 'Giuseppe Tucci' .

Il Museo è (era) ospitato  nelle  opulente sale di palazzo Brancaccio, l’ultimo palazzo nobiliare costruito a Roma, la cui storia è già un romanzo:  voluto dalla ricca dama newyorkese Mary Elizabeth Bradhurst Field, la cui figliola andava sposa al principe Salvatore Brancaccio con una dote da un milione di dollari, ed eretto su disegno del grande architetto Koch, il progettista della Banca d’Italia, di Palazzo Margherita oggi Ambasciata  americana, dell’Esedra di Piazza della Repubblica, insomma dell’ultimo fervore costruttivo di una vera capitale, se si esclude il successivo periodo fascista.
Ma ahimè, questa magnificenza costava un affitto.

E dunque la lungimiranza ministeriale ha dapprima deciso che il Museo dovesse perdere la sua autonomia, poi essere disciolto e inserito nel misterioso  "Museo delle Civiltà", che di altisonante ha solo il pomposo nome e una sede raccogliticcia, l’Eur lontano da qualunque flusso turistico, e soprattutto molto più costosa.

Ovviamente, a questo trasferimento non seguirà alcuna esposizione,  poiché per le collezioni, l'archivio fotografico e la biblioteca non sono ancora disponibili gli spazi.

Eccoci dunque privati per sempre – dato che non c’è nulla di più definitivo del provvisorio -  di uno dei luoghi di conservazione viva della memoria di passati e luoghi, e persone e abitudini,  e oggetti e preziosi,  e vita quotidiana e ornamenti e culto dei morti del  Medio ed Estremo Oriente .

Un patrimonio  proveniente da decine di spedizioni dei nostri archeologi, unanimemente riconosciuti come i migliori al mondo e dunque al mondo tra i più importanti e apprezzati: un patrimonio infatti non frutto di razzie  o bottini di guerra come nel British a Londra o nel Louvre di Parigi, ma lasciati in deposito da Paesi come l’Afghanistan, l’Iran, l’Iraq proprio a tutela dei reperti . 
Di certo, nei magazzini al buio lo saranno ancor più.

Ma soprattutto il Museo è stato un’autentica gioia degli occhi, e dell’anima, che poteva rivedere e riconoscere  simboli e figure, e forme e colori di civiltà lontane che ritornavano alla coscienza chissà da quali  profondità, in cui le differenze culturali non si annullano ma si integrano.Ceramiche invetriate, voli di pavone su mosaici, gioielli moghul, antichi stupa , Buddha Shakyamuni e bodhisattva della compassione, i restauri delle persiane Persepoli e Isfahan, le lavorazioni finemente tessite con fili preziosi e antichissimi da chissà quali mani, porcellane millenarie turchesi e ocra di Samarcanda...  e il meraviglioso percorso in Tibet e Nepal con lo “psicocosmogramma” che lega appunto il microcosmo dell’ individuo e l'universo,   lo schema dei sei mondi della rinascita: inferni, spiriti famelici, animali, uomini, titani, divinità mondane. 

E' stato questo  il meraviglioso, ultimo dono di Giuseppe Tucci, il più grande, avventuroso, generoso esploratore del secolo scorso, maestro di tutti i cercatori di quel mondo che è altro da noi, dal nostro mondo (uno fra tutti, Fosco Maraini),  a cui il Museo era dedicato,  e che al Museo aveva affidato tutta la sua raccolta  dei lunghi anni avventurosi in Nepal, Tibet e Himalaya. 
A questa si era aggiunto poi il lascito della moglie Francesca, che aveva nominato il Museo erede universale.

Che pena.  Perché dunque tenere, sostenere  tutto questo? Forse è meglio così.

Nessuna “autorità”, né a Roma, né al Ministero,  nonostante l’accorata petizione che a nulla è servita, si è mossa. 
Nel degrado generale che mi pare ci invada, in cui la parola reperto ha il gelo di un cadavere e non la gioia di un ritorno e di un riconoscimento;  nella particolare “grande bruttezza” che sta  invadendo la capitale come una lebbra,  forse un vuoto così è giusto, adatto, praticamente perfetto .